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Articolo scritto da Alberto Passi nel gennaio 1990 per il primo numero della rivista. Non abbiamo certezza della corretta individuazione del medesimo Alberto Passi ma, considerando l’età, l’attività, ed il legame con le Ville Venete, auspichiamo di aver indovinato.

In breve sulla Certosa di Vigodarzere

Costruita su commissione del Vescovo di Padova, la Certosa di Vigodarzere deve la sua realizzazione ad Andrea Moroni e Andrea Della Valle. Eminenti figure dell’architettura padovana del ‘500.

Questa grande casa non è una casa: è un convento, una Certosa del 1500. Le mura antiche, ancora ben solide, la luce tra i chiostri, i cortili, la chiesa, le sale, i granai, le scale, ogni cosa trasuda semplicità e grandiosità e s’accorda come per incanto con la natura profonda dell’essere umano, povero e ricco allo stesso tempo.

Subito, entrandoci, viene voglia di restarci, di viverci. Vagando al suo interno l’intelligenza si sorprende di ogni scorcio.

Il progetto

La Certosa di Vigodarzere venne commissionata grazie ai fondi di un lascito del Vescovo di Padova, Pietro Donà, ed il progetto fu affidato ad Andrea Moroni e poi ad Andrea Della Valle.

Padova, s’era circa al tempo della Lega di Cambrai (1508-1509), viveva un periodo di grande splendore.

Già porto del sale di Venezia, Della Serenissima Repubblica era anche baluardo militare e si andavano edificando in quegli anni le nuove mura della città.

Ai fenomeni architettonici, artistici ed economici corrispondeva un grande e particolare fervore religioso: fioriva l’era antoniana.

La scelta di edificare una Certosa è l’indizio, proprio del particolare ruolo che le certose d’Europa avevano a quel tempo. Della centralità e allo stesso tempo della vocazione internazionale di una città in grande espansione.

Il lascito di Pietro Donà era vincolato alla costruzione di un edificio religioso.

Passaggi di mano

La Certosa di Vigodarzere fu costruita sulle rive del fiume Brenta. Fiume ricco di traffici e architetture. L’opera rimase comunque incompleta nella parte delle celle adibite a dimora dei frati.

Verso la seconda metà del ‘700, soppresso il monastero dalla Repubblica di Venezia, la Certosa fu acquistata da un greco ortodosso: Lambro Maruzzi, veneziano, al quale s’intitola ancora oggi in Venezia una calle.

Ma forse in realtà, gli occhi sull’edificio li aveva messi Marco De Zigno, antenato degli attuali proprietari [1990, ndr], che del Maruzzi si era servito come prestanome in quanto appunto ortodosso e non cattolico come lui. Visto che gli edifici religiosi, pur soppressi, ai cattolici non potevano essere venduti.

Cambi di funzione

Il De Zigno della Certosa di Vigodarzere fece ben presto una filanda. Avvenieristica maniera di concepire una nuova destinazione d’uso ad un simile edificio: legarne l’oneroso mantenimento ad un’economia di scala ben radicata nella tradizione locale, quella dell’allevamento del baco da seta.

Il Benetton ante litteram (il re del casual ha fatto in Ponzano un’operazione dello stesso genere nella sua secentesca centrale operativa) consente per più di mezzo secolo alla Certosa di mantenere il suo originale splendore.

Ma nel 1800 il muliebre amor potè più del ragionamento: l’avvento della gentil dama Mary Maguire, sposa ad un De Zigno, trasformò la Certosa, non senza scozzese coraggio e arguzia tutta anglosassone, nella propria dimora e salotto letterario.

S’era ai tempi del bel gruppo che garantiva intorno al Foscolo, e a Venezia riceveva Isabella Teodichi Albrizzi. Anche la Maguire amava aprire la sua casa e alla Certosa si recava persino Lord Byron.

Così trasformato in Villa, l’edificio è giunto fino a noi.

Da monastero a fabbrica, a casa di campagna. La Certosa di Vigodarzere preparava agli eredi i guai dei nostri giorni.

Cerchiamo di capire perchè.

Le certose

Le Certose erano progettate e costruite per poter sviluppare al proprio interno e all’esterno, le valenze proprie e tipiche dei monaci certosini.

C’era la campagna, e dunque tutte le pertinenze agricole. Importante per quell’epoca era il ruolo che le Certose d’Europa, in quanto tutte collegate tra loro, svolgevano in termini di scambio trans-territoriale e dunque v’era tutta la parte adibita a foresteria.

C’era poi la vita religiosa dei monaci, e duqnue la chiesa, le celle, gli spazi per la meditazione.

Ridotta alla sola funzione di casa, di villa di campagna, la Certosa di Vigodarzere ha perduto con il passare degli anni, il dinamismo che le era proprio.

Storia più recente

La perdita di memoria del proprio ruolo l’ha vista gradualmente, ma inesorabilmente, immiserirsi e decadere.

La breve storia più recente è presto detta. Una De Zigno porta la Certosa in dote ai Passi [la stessa famiglia Passi dell’autore dell’articolo? Sembra di Alberto Passi sia un conte. Ndr], nobile famiglia Bergamasca e quindi Veneziana.

Si narra di una giovane sposa e madre che sognò, abitando fra quelle mura, i suoi cinque figli strepitare gaiamente in banda e crescere nella gloria di Dio e nella gioia di tanta bellezza, purezza e solitudine.

Ma ha dovuto rinunciare al progetto, emigrando ben presto al seguito dello sposo che mal sopportava l’isolamento del luogo.

Altri ha frequentato la Certosa sognandovi una fervida fucina di opere artistiche da introdurvi e fare.

Purtroppo una catena di illusioni, poi l’abbandono per molti decenni.

Nel 1990

Nella Certosa di Vigodarzere ora ci vive una ragazza. Poco più di vent’anni. Bella, colta e testarda. Sangue veneto, russo, e toscano. Anche lei della Certosa, come tutti, s’è innamorata e s’adopra.

Ci vive, ci lavora e progetta, dividendo il suo tempo tra l’università, la campagna e le pubbliche relazioni. ‘Accampata’ nel monastero -a vent’anni si può ben fare- la giovane, al secolo Ludovica Passi, vi era giunta  in pellegrinaggio ozioso per starci dieci giorni. C’è invece rimasta, e oramai son passati tre anni.

La campagna già rende di più, e tutti i contatti utili sono stati presi. I sopralluoghi fatti. Le relazioni scritte. Nella loro scia la carica di consigliere dell’Associazione Dimore Storiche del Veneto. [nel 2015 Alberto Passi risulta presidente dell’Associazione Ville Venete. Ndr]

È lei a parlarci dei progetti, delle idee, delle speranze cui intende dar seguito per riportare la Certosa di Vigodarzere allo splendore di un tempo.

I progetti della proprietà (nel 1990)

Il progetto al quale stiamo lavorando -spiega Ludovica Passi- ha preso le mosse dalla particolare architettura del complesso, così concepito per il ruolo speciale nel mondo di allora.

Si tratta di riappropriarsi e di ripercorrere con coerenza le finalità dei monaci: agricoltura, ospitalità e spiritualità, intesa quest’ultima come vita interna al monastero-casa.

Se insomma l’architettura delle certose nasce per rispondere a queste esigenze, si tratta allora di individuare quel qualcosa di articolato e allo stesso tempo omogeneo, che leghi nuovamente mura, caseggiati, cortili, chiostri, chiesa, granai, cantine alla vita economica e sociale del nostro tempo.

Un ruolo attivo e funzionale che veda l’edificio ben inserito nella vita di Padova, del Veneto e persino dell’Europa. Perchè questa era la vocazione delle Certose.

I quadri di tutte le Certose esistenti conservati in quella ‘madre’ di Notre Dame de Press di Grenoble tra cui c’è anche quella di Vigodarzere, testimoniano di come questi edifici fossero tra di loro collegati e, filtrando la vita sociale dell’area di loro influenza, svolgessero ruolo attivo di scambio in tutto il continente.

Il messaggio, nell’era del computer e dei satelliti, va ovviamente letto in modo differente. Ciò non toglie che, qualunque progetto per una destinazione d’uso moderna non possa che essere incentrato sull’edificio e sulle sue antiche valenze.

Non solo. Ma un ruolo dinamico della Certosa restituita alle sue antiche vocazioni, sarebbe perfettamente omogeneo e coerente anche con il territorio circostante, il bacino del Brenta in primis, ed i progetto che lo attendono.

Le ricerche storiche e architettoniche che sono state necessarie per far sì che il progetto di recupero dell’intero complesso non rischiasse di comprometterne la bellezza, ma piuttosto ne rispettasse i pregi, le funzioni.

Importante è anche un’attenta ricerca di mercato.

Il De Zigno che l’acquistò aveva operato bene: aveva mantenuto con la filanda un’economia interna all’edificio, rendendone dinamica la presenza rispetto all’area circostante.

Granaglie, bachi, tabacco, hanno occupato in epoche successive le migliaia di metri quadri del complesso. Cultura, turismo, servizi e, perchè no, forse anche l’agricoltura, sembrano voler rilanciare la Certosa di Vigodarzere nella vita attuale restituendole lo splendore e la dignità che le sono propri e dovuti.

Infine non vanno dimenticate le Leggi vigenti che comunque contribuiscono alla salvaguardia del patrimonio.

Notevole è stato in questi anni il risveglio di interesse degli enti pubblici, che si sono resi disponibili a valutare con la Certosa una formula di utilizzo pubblico-privato.

I benefici della 449, la Legge che prevede contributi a fondo perduto per il restauro statico e conservativo sono già realtà. Inoltre, la Certosa di Vigodarzere è stata inserita nell’elenco delle ‘Memorabilia’ del Ministero per i Beni Ambientali. Elenco che riguarda le strutture architettoniche da tenere in considerazione in modo prioritario in un più ampio disegno di recupero a livello europeo.

Conclusioni e speranze

Si combatte insomma contro il tempo (o i tempi). Qualche pezzetto di mattone si sgretola ancora. L’erba si infiltra tra le pietre. Muschi, licheni e umidità, fanno il resto.

Ludovica, fata turchina dalle bionde chiome, non ha la bacchetta magica, ma solo la testa dura e si fa, a poco a poco, amazzone, per cui grazie a lei la Certosa di Vigodarzere tornerà forse presto a fiorire

2022

Ad oggi, 2022, non ci risulta che i progetti abbiano mai preso il via. Rileggendo questo articolo a distanza di oltre trent’anni, abbiamo l’impressione che:

  • autore dell’articolo e intervistata, fossero forse parenti. Con tutte le considerazioni del caso, che lasciamo al lettore.
  • le rievocazioni romantiche di antiche funzioni calate in quest’epoca, fossero il frutto di chi, nato e cresciuto in una famiglia nobile, senza forse aver mai veramente lavorato nel senso di doversi guadagnare il pane per vivere (‘pellegrinaggio ozioso‘), non abbia il senso della realtà economica.

I monaci agivano senza scopo di lucro personale. Gli ‘utili’ erano incamerati dalla Comunità religiosa, ed usati con il criterio che oggi è proprio di un Ente Pubblico.

Come si potrebbe mai ricostruire la funzionalità ‘collettiva’ in una realtà di proprietà privata?

Oggi, un complesso immobiliare simile deve produrre un reddito, perchè qualcuno decida di investirci capitali.

La sensazione, è che la proprietà volesse conservare il ‘quadro di famiglia‘, senza una formazione e una capacità imprenditoriale. Ma piuttosto facendo ricorso a finanziamenti pubblici (meglio se a fondo perduto) invocando la peculiarità storico artistica del patrimonio, bene dell’umanità, per il quale il soggetto Pubblico (e quindi i cittadini) dovrebbe farsene carico.

L’articolo sembra quindi, se effettivamente scritto da un parente della proprietà, una sorta di auto-promozione per cercare ‘pubblico interesse’.

Ciò non toglie che la Certosa di Vigodarzere ha indubbiamente tutto il fascino dei grandi e antichi complessi architettonici.

Certosa di Vigodarzere

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