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Ulderico Bernardi, altra penna illustre della rivista che negli anni ’90 del XX° secolo ci appassionò, fino al punto di creare questo sito per riproporla a posteriori.

Nel gennaio del 1990 scrisse questo breve pezzo di rubrica, legata alle tradizioni.

Cos’è la Tradizione…

I nostri giorni sono un tessuto di trame esistenziali, un ordito di parentele, di amicizie, di amori, di relazioni e vincoli nati dal lavoro e da tanti impegni. Mille minute consuetudini, ritualità collettive e abitudini personali, danno colore al tempo, e fanno di questa lunga pezza che si dipana tra origine e futuro la tradizione.

Parola sciupata, brancicata da tanti strumentalizzatori, proposta addirittura come sinonimo di cultura pietrificata.

Ma la tradizione altro non è che la condivisione di senso esistenziale tra le generazioni che si succedono: una memoria vitale, un gesto ritrovato, una piccola solidarietà domestica capace di travalicare i secoli.

Questo fa sì che la pezza continui a srotolarsi senza strappi: nelle famiglie e nelle comunità più larghe.

…e il suo valore

Un insensato accanimento, o una colpevole indifferenza, possono bucare il tessuto, e tutta una cultura rischia di scomparire. In quegli strappi precipitano valori, usanze, stili di vita, lasciando spoglia l’anima dei confortevoli riferimenti al costume.

Nel gelo razionale insorgono malattie sociali, dilagano angosce private, mentre gli spacciatori di illusioni tutte terrene appestano i corpi di intere generazioni, orfane della continuità.

Ogni modesto indulgere su frammenti di tradizioni remote o su altre vive e piene, può aiutare a comprendere quanto sia importante conoscere il senso e la storia di certe manifestazioni prima di abbandonarle.

Perchè la rubrica

È l’impegno d’una rubrica, che comincia a sciorinare i suoi contenuti nel nome di San Martin, (San Martino) così radicato nelle culture locali d’Europa. Infiniti villaggi, paesi e parrocchie si intitolano al santo soldato che sedici secoli fa si fece diffusore del cristianesimo nelle campagne.

La sua immagine è legata al gesto del donare. Quel mezzo mantello tagliato dalla spada e offerto al povero è più che una metafora di carità.

E ci piace ricordare come ancora oggi [1990 ndr] i bimbi veneziani, dono delle generazioni, nel giorno della sua festa attendano in casa il regalo ghiotto di un cavaliere modellato da mani amorose o acquistato in pasticceria, luccicante di perline d’argento, altrettanto commestibili.

Un profumo lieve di melecotogne o pan pepato si leva dalla dolce statuina, nello splendore effimero della brevissima estate di San Martino, offerta dal cielo prima del lungo inverno.

Dolce San Martin

Origine millenaria

Uno scenario dove tutto serve a far memoria di come il mondo si regga sul dono. L’usanza voleva un tempo che i bambini poveri della città passassero di casa in casa a “chiamare” il santo: “San Martin ne manda qua par ciamar la carità…”. Mentre per gli adulti, un poco ovunque, la solennità del santo è occasione di convivialità domestiche, di ripudi amicali: San Martin, castagne e vin!

Scrivono gli eruditi che la celebrazione cristiana si è sovrapposta a più antiche cerimonie bacchiche: la festa detta Brumalia dai Romani, a sua volta mutuata dalla greca Pitegia, che vuol dire “apertura della Botte”, entrambe fissate per l’11 di novembre, tra l’altro giorno di chiusura dell’annata agraria.

Valori umani

Di rinvio in rinvio, nei secoli, i festanti finiscono per scoprire che nel rito dei gòti di bianco o di nero buttati giù in allegria rinsaldano valori immemoriali: l’amicizia, l’affetto, la solidarietà.

Beni preziosi sempre, celati nella modesta simbologia del bere insieme vino novello. Che sciocchezza dimenticarsene, magari in nome della modernità.

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