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Il professore emerito Manlio Cortelazzo, docente di dialettologia presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Padova, fino al 1989, e mancato nel 2009, scrisse questo articolo per la rivista, nel febbraio del 1990, nella serie di articoli ‘Veneto in dialetto’.

Parola veneta

Se c’è una parola, che si ritiene legittimamente, ma con qualche riserva, solo veneta, questa è certo marangón, nome corrente del falegname.

Ritorneremo su questa area di predominio o d’influenza veneziana. Diciamo subito che l’accordo fra gli studiosi è pressoché unanime: marangón deriva da mergo, attraverso mergón, margón, maragón, marangón.

Non vorremmo che a questo punto, qualcuno li ritenesse eredi diretti degli allegroni etimologisti del Seicento, che, inserendo, togliendo o spostando alcune lettere, riuscivano a spiegare tutto, anche che alfana (denominazione di un cavallo di provenienza spagnola) derivasse dal latino equa, meritandosi il commento acutamente feroce di un epigrammista:

«Che alfana derivi da equa non c’è dubbio; però, bisogna ammettere che ne ha dovuto fare di strada!»

Con mergo si indicano vari uccelli acquatici, specialmente il cormorano, le cui caratteristiche abitudini sono note: sono capaci di immergersi -lo stesso loro nome si rifà alla radice di questo verbo- per catturare il pesce.

Marangòn Cormorano

Falegname delle navi

Ora, ci si potrà chiedere, che c’entri questa abilità con il lavoratore munito di pialla e sega. È semplice: marangon era, originariamente, l’operaio che si tuffava sott’acqua per provvedere alla riparazione delle parti immerse della nave, ed è almeno curioso che la sua prima attestazione italiana si rintracci in un popolaresco contrasto d’amore del Duecento, autore Ciacco dell’Anguillaia.

Per questo è spesso menzionato accanto ai calafai, che avevano il compito di incatramare le fessure, riempite prima di stoppa, del fasciame, e per questo si arrivò presto alla distinzione, quando l’arte fu applicata all’edilizia, nella quale il legno era materia predominante, fra marangoni di nave e marangoni di case.

Una norma del capitolare dei falegnami veneziani del 1335 prescriveva:

«volemo che i marangoni de le nave i quali vogliono lavorare l’arte de la marangonia de case debiano pagare al gastaldo de le case soldi sei de picoli»

Possiamo accennare al parallelo fenomeno siciliano, dove maraguni non è solo il cormorano, ma anche l’uomo, che, tuffandosi in mare, ripesca le cose cadute al fondo o ripara qualche rottura della nave; e la persona, che passa a guado i torrenti, portando sulle spalle i viandanti.

La corporazione dei maestri d’ascia era così importante a Venezia (si calcola che nel 1423 vi lavorassero 3000 marangoni e 3000 calafati), che marangona si chiamò la maggiore delle quattro campane del campanile di San Marco, che avvertiva l’inizio, le soste, la ripresa e la fine del lavoro degli arsenaloti, nome imitato da Verona, che già nel 1319 chiamò marangona, la campana che invitava i carpentieri al lavoro.

Marangòn tavolo falegname

Marangòn fuori dal Veneto

Si è detto che la Romagna e l’Emilia condividono col Veneto l’uso di marangone, e questo fin dalle più antiche attestazioni in latino medievale: però, se a Venezia lo statuto dei carpentieri del 1271 è già intitolato Capitulare de marangonis, a Ferrara appare solo nel 1401.

Quando, allora, lo impiegano, in testi narrativi, Alfredo Panzini («Se vieni lassù ti voglio far conoscere un marangone; …nei giorni d’ozio ti disegna e fa dei mobili del più puro gusto del quattrocento») o Riccardo Bacchelli («come seppe che ad Occhiobello gli austriaci facevan allestire barche per gettare un ponte, si offrì come marangone e carpentiere pratico di questi lavori»), dobbiamo pensare, che ricorressero più ad una parola propria al loro dialetto che ad un venetismo.

L’area più vitale di marangone corrisponde, se vediamo bene, ai territori già soggetti all’impero bizantino, e questa comune sudditanza non sarà estranea all’affermazione del termine.

Marangone è entrato molto presto in italiano, pur non acclimatandovisi mai. Nei Miracoli della Madonna (quattordicesimo secolo) lo incontriamo già nel significato moderno: «Gesù Cristo aiutava alcuna volta Giuseppe a segare le asse, perocché era marangone, cioè maestro di legname».

Questo ci induce a ritenere che mercanti e pellegrini in Terra Santa, che viaggiavano su navi veneziane, abbiano contribuito a diffondere il nome locale, che sentivano quotidianamente, facendo parte il marangón dell’equipaggio della galea. Del resto anche arsenale è parola di provenienza veneta, diventata internazionale.

Monte Tudaio - Foto: Tamara De Marchi

Marangòn palombaro e simiòto

Il discorso sull’attività del palombaro, tipica originariamente del marangone, ci porta ad una considerazione marginale; con questo suo nome è ricordato ancora in scritture tecniche toscane del Sei e del Settecento, mentre a Venezia s’insediava un suo sinonimo, cioè simioto.

Sebbene il dizionario del Boerio non consenta affatto questa interpretazione, il nome è stato identificato con quello dello scimmiotto e ritenuto, quindi, scherzoso. Invece, Simioto è propriamente l’abitante dell’isola greca di Simi, patria, fin dall’antichità, dei più abili tuffatori, dalla quale proveniva la maggior parte dei sommozzatori veneziani.

Abbiamo introdotto di proposito quest’altro sinonimo sommozzatore, che dà modo di accennare ad una voce, per noi recente, diffusa in tutta Italia, limitata, in origine, all’area napoletana: nudi e naturali, come i primitivi marangoni dei cantieri veneti e romagnoli e come i pescatori di Simi, devono il loro nome, si crede, al verbo sommozzare, immergersi, e questo rappresenterebbe un latino ‘subputeare’, letteralmente calarsi nel pozzo.

Come si vede, qualche piccolo debito verso i dialetti, specie nelle cose di mare, l’italiano ce l’ha, tanto più che anche palombaro sembra provenire da Venezia, dove è documentato nel 1291. E, se dobbiamo accettare l’opinione più accreditata, rappresenterebbe la continuazione di un latino tardo palombarius ‘sparviero’, al quale è fatto assomigliare per la rapidità con cui si precipita all’alto in basso.

Il quadro ornitologico-marino sembra ora completo.

2024

L’articolo non comprende nell’analisi un aspetto interessante e molto radicato nel territorio: l’origine dei cognomi associati ai mestieri svolti dai nostri avi. Marangon è oggi anche un cognome, come Favaro, Favaretto, Favaretti, ecc., che indicano il fabbro, ed altri analoghi.

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