Maurizio Busatta scrisse questo articolo per la rivista, nel febbraio del 1990, nella serie di articoli ‘La Strada’.
Anche in questo caso, ci affascina il parallelo tra quanto viene descritto in un dato momento storico, e quanto sopravvive trent’anni dopo. Con le relative differenze, o aspetti sopravvissuti.
Il luogo: La Piazza
«Ci vediamo in piazza» – «Troviamoci in piazza»
A Belluno è il modo più consueto per darsi appuntamento. La piazza per antonomasia è Piazza dei Martiri. Come superficie, la si può considerare uno degli ‘arredi urbani‘ più grandi del Veneto.
Purtroppo manca ancora l’isola pedonale. Si stanno studiando forme di circolazione limitata, ma solo quando verrà presa la decisione più severa (o meglio, più a misura d’uomo…) il salotto della città del Piave e delle Dolomiti riuscirà a mettere in mostra tutto il suo fascino.
Uno splendore, prima ancora che architettonico, «teatrale» nel senso pieno del termine. Piazza dei Martiri è un vero e proprio palcoscenico, segnato da «quinte» quanto mai caratteristiche e soprattutto capaci di stimolare l’immaginario collettivo.
Prospettive
Ci sono tanti modi infatti per scoprire l’approdo più frequentato dai bellunesi. Intanto, volendo, il campo d’osservazione è sempre tridimensionale.
Nulla appare appiattito. Anzi nell’alternarsi delle prospettive, sembra quasi di giocare con lo ‘zoom’.
Il grandangolo suggerisce uno scenario sovrastato dal gruppo della Schiara, che disegna i primi contrafforti dolomitici. Girando di novanta gradi, ecco ad ovest l’ultimo balcone rimasto sul Piave: il fiume, guadagnando un letto largo, scende lungo la Val Belluna con un corso sinuoso.
Elementi di Piazza dei Martiri
Ma c’è di più: Piazza dei Martiri di se stessa, al visitatore e al cittadino, propone una duplice veste: divisi dalla strada, di là si aprono i giardini, di qua i portici e il classico ‘liston’.
E poi ulteriori magnetismi: il Teatro Comunale sullo sfondo, un quasi secolare cedro del Libano al centro, la plasticità delle statue scolpite da Augusto Murer nel 1965 e collocate nel mezzo delle aiuole.
Poi soprattutto d’estate ma anche nei tepori dell’autunno e della primavera un fascino quasi mitteleuropeo, rappresentato dai tavolini dei caffè che si affacciano sulla piazza e che fanno scoprire alla gente il gusto di una civiltà, nonostante tutto, ancora persistente: quella di ritrovarsi, per amicizia, per amore o anche per affari, alla luce del sole in un contesto dove ci si vede volentieri, ci si saluta, si sa tutto di tutti.
Cuore di Belluno
In un mondo come quello di montagna, nel quale la tolleranza è antica virtù comunitaria e i «vezzi» mondani non sono granché coltivati, non deve soprendere la voglia di incontrarsi sul ‘liston‘ e nei caffè della piazza.
In quest’arengo avvengono molte cose: ci si incrocia per recarsi nei punti nevralgici della città. Nei giomi più freddi si gode un raggio di sole in più. Quando il clima diventa afoso una passeggiata ai giardini consente di rilassarsi.
Poi la vista, i ritmi, la tradizione, segnano uno spazio urbano eccellente entrato nel sangue dei bellunesi, nella continuità delle generazioni.
C’è poco da dire: il cuore di Belluno pulsa proprio qui, in questa piazza d’impostazione rinascimentale ricca di suggestioni semplici ma durature.
Forse, senza accorgersi, sono tante le piazze nella piazza. In fondo, siamo già fuori le mura e l’andamento ricurvo dei palazzi lungo l’ala nord risente, come vedremo, della storia medioevale.
Nel Veneto delle città murate, Belluno fa eccezione. La forza degli accadimenti umani le ha fatto perdere questo pezzo importante della sua identità millenaria.
Origine del Nome
Piazza dei Martiri in origine era Campo Marte, donde l’antico nome di «Campedel» per indicare l’area dove tenere fiere, mercati, tornei, parate.
Fino al 3 giugno 1945 si chiamava, appunto, Piazza Campitello.
Poi, uno dei più tragici e noti eventi della Resistenza fece assumere alla piazza l’attuale denominazione: l’impiccagione il 17 marzo di quell’anno di quattro patrioti e la sfida del vescovo Girolamo Bortignon che, con una scala in spalla, si recò, in faccia ai nazisti, a impartire loro l’estrema unzione.
Nelle parole di un poeta
Molta storia -centrale e minore- di Belluno si racchiude in questo luogo multiforme di architetture e di visioni.
Scrisse un giorno Diego Valeri, uno dei poeti più eminenti del nostro novecento:
«Chi vuol godersi lo spettacolo del creato da una delle più belle finestre del mondo vada a Belluno, in piazza Campitello, e guardi giù il Piave, che serpeggia verde tra monti verdi, e si dilegua e svanisce azzurro tra monti azzurri entro una profonda nebulosa di luce dorata. Si è nel cuore di una antica città, tra liete case e torri e giardini, ma con lo sguardo ci si addentra in una prospettiva infinita, in una favolosa lontananza di luogo e di tempo, dove la natura sembra ancora in travaglio…».
Il Piave
Oggi le acque del Piave non sono così limpide come quelle descritte da Valeri: effetto di una «portata» sempre più risicata dagli sbarramenti idroelettrici e da una «pressione» antropica che, se non ha ancora raggiunto livelli di guardia come in altre plaghe, ne condiziona la qualità.
Piazza dei Martiri comunque rimane una terrazza sul Piave, sopra i «piai» che degradano verso il fiume. Una terrazza che gli interventi edilizi del dopoguerra hanno circoscritto, restringendone l’orizzonte. In effetti la piazza intera è un palinsesto di stili, epoche, stratificazioni architettoniche.
Le vedremo in dettaglio. Merita invece di essere richiamato subito un altro aspetto: la funzione di centro comunitario che la piazza continua ad assolvere anche alle soglie del Duemila.
Non è poi tanto curioso ricordare che già nel passato il suo selciato, oggi illuminato da nuovi lampioni di ordine veneziano, è stato luogo d’incontro di personaggi e personalità di primo piano.
Personaggi illustri
Tutti gli attori che hanno calcato le scene del Teatro Comunale durante le più brillanti stagioni di prosa hanno fatto tappa in piazza. Da Presidenti della Repubblica, a cominciare da Sandro Pertini che un paio di volte lasciò Selva di Val Gardena per un’incursione in città.
In anni ruggenti, il fior fiore dell’«intellighenzia» italiana si è seduto ai tavolini del Caffè Deon, il più antico della città, incastonato in un palazzo che prende il nome dalla famiglia Crotta, nota in Agordino per aver dato inizio nel 1618 allo sfruttamento delle miniere di pirite della Val Imperina.
Attorno al Deon si sono intrecciati dialoghi e pettegolezzi della cultura italiana del Novecento. Legati da amicizia ad alcune famiglie della città, dal Caffè Deon sono passati nomi illustri che hanno scritto la storia della cultura contemporanea.
Parliamo di Marino Moretti, Manara Valgimigli, Concetto Marchesi.
Ma non dimentichiamo alcuni ‘geni‘ locali: Dino Buzzati, per cominciare, il quale definisce la «S’ciara» (nome in dialetto di pronunzia Schiara) «la montagna della mia vita» con l’immancabile Gusela del Vescovà; e poi Ugo Foscolo e Beniamino Dal Fabbro, traduttore e critico musicale che, «post mortem», la città vuole riscoprire e «recuperare» con il dovuto ossequio.
Ai nostri giorni quest’alone è venuto un po’ meno, ma davvero nel dopoguerra il Caffè Deon si distingueva come cenacolo di intellettuali.
Diremo di più: a frequentarlo, senza peraltro guardarsi in faccia, oltre alle ‘élites‘ della cultura erano quelli che potremmo chiamare i «benestanti», nonché una cerchia di ‘bohémiems‘ un po’ contestatori e un po’ goliardi.
Avventure d’altri tempi, quando le cadenze della vita registravano battiti meno convulsi d’oggi…
Struttura di Piazza dei Martiri
Non per questo, tuttavia, piazza dei Martiri ha perso smalto e capacità d’attrazione.
Rimane punto fermo nella struttura urbanistica e mercantile della città. L’alternarsi di palazzi, molti dei quali oggetto di recenti restauri, la varietà delle scene che contemporaneamente vengono portate alla ribalta (il «liston», i portici, i giardini, le opere d’arte, i «merletti» delle tante finestre che si rincorrono in rapida successione) tratteggiano una carrellata densa di richiami e di vicende.
Gli edifici più interessanti stanno sul lato nord della piazza, dove corrono i portici.
Di fronte, oltre i giardini, l’immaginazione deve cercare di intuire le mura, rimaste più o meno intatte fino al Settecento e poi demolite. Belluno medievale finiva là dove nel Cinquecento cominciò a prendere forma piazza Campitello.
A segnarne il perimetro, allora, due poli contrapposti: la chiesa di San Giuseppe dal lato del Piave, oggi scomparsa, e porta Dojona all’altro capo, oggi «soffocata» dal Teatro Comunale progettato dal Segusini nel 1835.
Cambiamenti nel tempo
Confrontando negli archivi alcune incisioni d’epoca, piazza Campitello non assomiglia più a se stessa.
Uno sforzo di fantasia aiuta a ritrovare gli equilibri perduti. Basta salire con la mente sulle mura (che – ripetiamo – non esistono più) ed ecco apparire nella sua bellezza la forma trapezoidale della piazza, l’aprirsi a volta dei palazzi, la fontana dei giardini una volta proprio al centro dell’asse fra la chiesa e la porta.
I giardini sono datati 1930 e portano la firma di Alberto Alpago Novello, architetto feltrino che occupò un posto di rilievo nel movimento razionalista e si distinse per molteplici interessi.
Sistemazione di Piazza dei Martiri
In primavera [1990 ndr] verrà rifatto il «look» alla fontana della piazza. Costituita da una vasca circolare di 16 metri di diametro, il Comune ha deciso di restaurarla completamente.
In particolare al bordo della vasca, dove tanti, turisti e non, gradiscono sedersi per un attimo di pausa, sarà collocata una nuova corona di conci.
Sotto il pelo dell’acqua, opportunamente illuminati, verranno sistemati gli stemmi dei 69 Comuni della provincia, nonché quello dell’Amministrazione provinciale, in un abbraccio ideale volto a sottolineare l’unità di intenti con il capoluogo.
I vialetti interni sono stati anch’essi di recente [1990 ndr] rimessi a nuovo. La varietà della vegetazione dominata dal «cedrus deodara» già citato, quasi tre metri e mezzo di circonferenza [nel 1990, ndr] dona alle sculture in bronzo di Murer una straordinaria drammaticità.
Si tratta di un complesso di quattro pannelli, che si inserisce nel filone dei monumenti alla libertà ideato dall’artista agordino negli anni Sessanta.
Con grande energia espressiva e morale, si rivisitano momenti cruciali della Resistenza. Fra tutti troneggia la rievocazione del gesto del vescovo Bortignon che va a baciare i quattro impiccati sui lampioni della piazza: Salvatore Cacciatore, Giuseppe De Zordo, Gianleone Piazza e Valentino Andreani.
Belluno -va sottolineato- è medaglia d’oro al valor militare. Non lontano da Piazza dei Martiri, sulla facciata del palazzo municipale lo ricorda una lapide che riporta l’intera motivazione.
Note curiose e opere d’arte
Facendo un passo indietro nella storia, entriamo ora negli angoli più segreti della piazza.
Abbiamo detto che il lato meridionale sorge al posto della cerchia murata.
L’andamento ad arco del fronte opposto, di origine più vetusta, è dovuto al mantenimento della distanza richiesta dal tiro delle batterie poste sulla torre del castello, anch’esso poi ridotto in macerie: un raggio di circa 90 metri.
Sul lato «nobile» della piazza si susseguono diversi palazzi. In mezzo spicca la chiesa di San Rocco. La sua costruzione risale al 1561. A motivarla un voto popolare «in seguito alla liberazione dalla peste del 1530» come recita una lapide posta, sulla facciata, appena sotto la statua del Santo.
Sull’altare maggiore fa bella mostra un tabernacolo in legno di Valentino Panciera Besarel, epigono di Andrea Brustolon. Dello stesso periodo è pure una tela che rappresenta Giovanni Bosco, opera di Luigi Cima, artista in piena rivalutazione critica. Il quadro venne scelto dalla Congregazione salesiana come immagine ufficiale per la canonizzazione dell’apostolo dei ragazzi. A lungo infatti la chiesa è stata oratorio salesiano.
Entrando, sopra la porta, si può notare una lunetta in rame sbalzato che riproduce l’iconografia della città nel Cinquecento. Di aspetto, appunto, rinascimentale, il tempio è realizzato in pietra bianca di Castellavazzo, una delle più pregiate materie prime della zona.
Poco più in là la Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno, e adesso pure di Ancona. Nelle sue sale una tela di Domenico Falce che riporta alla Belluno del Seicento.
Scorci della Piazza
Ma più che per gli stili, talvolta perfino contrastanti, piazza dei Martiri merita una passeggiata per gli equilibri che esprime e per gli scorci che lascia intravedere.
L’ampiezza, l’alternanza degli edifici, la macchia di verde, le proiezioni verso angoli importanti del centro storico. Da piazza del Duomo, che si ammira attraverso porta Dante e piazza Vittorio Emanuele, che introduce ad altri portici e poi a uno dei più preziosi scrigni della città: la chiesa di Santo Stefan.
Tutto induce a guardare questo luogo quasi come un prisma: in una parola una piazza-città. La quale custodisce un po’ tutto, antico e moderno, e proprio per questo vede la gente animarla di continuo. Anche a tarda ora, quando le consuetudini bellunesi sono più propense all’intimità e alla riservatezza.
2022
Anche in questo caso, come per altri articoli, salta all’occhio la nota dell’autore sulla frenesia dei tempi. 32 anni più tardi è sconfortante poter dire che tale aspetto, nella nostra società, è notevolmente accentuato.
Che questo significhi peggiorato o migliorato, lasciamo decidere al lettore.