Tullio Ferro scrisse questo articolo per la rivista, nel febbraio del 1990. Non siamo certi della correttezza del link all’autore: ci è sembrato il più verosimile tra i risultati di ricerca.
Il mito dell’origine
Forse fu una festa campestre, non certamente una tavola rotonda o un simposio di quelli che si organizzano oggi e ai quali partecipano politici, intellettuali, industriali, mercanti e moderni saltimbanchi.
L’invito del Dio Benaco
“Se si svolge a Punta San Vigilio vengo anch’io” era un po’ questa la voce di adesione all’invito del dio Benaco fatto ai quattro cantoni del mondo. Ma ognuno degli invitati giunse per conto proprio, magari con l’amante, in ore, giorni, anni, secoli diversi.
In questo luogo -hanno sempre consigliato i saggi benacensi- bisognerebbe arrivare come un pellegrino, magari ansimando lungo la strada che sale da Garda.
A destra la montagna amica, che ripara il golfo dagli spifferi del gigante Baldo, a manca il lago sempre increspato perché è su questa linea che il virgiliano Benaco da fiordo si apre in azzurra distesa marina e si dà molte arie…
Il paesaggio…
Ecco le lance dei cipressi che sovrastano il pulviscolo verde tenue degli ulivi, il lucente alloro che delimita prati e giardini in
digradante corsa verso il lago, le palme ondeggianti sopra l’antico muro di cinta.
Dai ferri battuti del cancello coronato s’intravede il bel giardino all’italiana, disegnato nel ‘700, si ode qualche passo sulla ghiaia. Qui il patrimonio di voli è sgargiante.
Per udire lo sciabordio dell’onda c’è ancora tempo. Il viandante deve prima percorrere l’antico selciato levigato dal passo dei secoli, raggiungere un campiello con il cielo disegnato da volti di pietra e in cotto.
…e il lago
Lasciate le architetture d’ombra, ecco la luce del lago, il respiro lento dell’onda infranta dalla Stella, scoglio che fu un tempo leggiadra fanciulla, così almeno canta un antico poeta benacense.
Qui è impossibile non avvolgersi nella mitologia, nella leggenda, quindi nella poesia, che si respira in ogni lembo di paesaggio dove c’è il ricordo di Ninfe, Driadi, Naiadi (qualcuna si è trasformata in acqua minerale come la Tavina).
E chi mai dimentica quel congresso di dei, tutti con la seconda casa sul Garda, facili e salottieri tradimenti e con prole illegittima, anche perché lontani dagli occhi indiscreti di Giove?
San Vigilio
Fu appunto San Vigilio che, senza tanti complimenti, li mandò tutti a quel paese. Piano piano, dopo secoli di buen retiro, dal Benaco se ne andarono Apollo, Nettuno, Saturno, Minerva, Bacco, Mercurio, Cerere, per ricordare solo i più potenti.
Per le divinità locali ci fu un occhio di riguardo, tanto che il dio Benaco regnò indisturbato ancora per molto tempo, almeno fino all’arrivo delle diaboliche macchine dei cementeri.
Devozione ci fu pure per Ripino, il dio delle rive, oggi purtroppo in grosse difficoltà per l’abnorme fiorire di alghe.
Dopo la stagione d’oro degli dei, i quali – va detto esagerarono con lussi e sperperi per templi, are, lapidi e targhe, mentre mantenevano il mitico carpione con bocconi aurei, ecco gli eremiti, i predicatori della nuova fede, i santi.
Vengono demoliti o riciclati i templi pagani e in quest’opera si da un gran daffare Vigilio, appena giunto da Roma. Vigilio fu Vescovo di Trento (385-402) dove venne condotto assieme ai fratelli Claudiano e Magoriano dalla madre Massenza.
Il martirio
Fu là che, tra i pochi cristiani che formavano la chiesa trentina, Vigilio emerse per fervore di fede. Così che, morto il Vescovo Abbondanzio, egli fu designato a sostituirlo. Allora, aiutato da tre emigranti d’oriente, Martirio, Sissino e Alessandro, egli cominciò nel Trentino la sua predicazione.
Ma i pagani della Val di Non, l’Anunania, uccisero i suoi tre compagni. A tale notizia, Vigilio, raccolte le reliquie dei martiri, dopo averle mandate a Simpliciano Vescovo di Milano, si recò in Val Rendena e con l’aiuto di alcuni fedeli abbattè e gettò nel fiume Sarca una statua di Saturno, montando quindi sul vuoto piedistallo per parlare alla gente.
Ma quei montanari gli furono addosso e lo lapidarono. Allora i popolani del territorio bresciano corsero armati per ottenere dai trentini il corpo del Vescovo. «Ma – come scrive uno storico – non ebbero che, carissimo dono e santa reliquia, un vaso del sangue del martire che portarono in patria, dove poi Dio compiacquesi onorarlo per copia di miracoli».
La costruzione della Villa
«Beatus ille qui procul negotiis…», che liberamente si può intendere: «Beato colui che può starsene lontano dalle preoccupazioni materiali dell’esistenza»: questa fu l’aspirazione e quindi il programma dell’umanista Agostino Brenzone, avvocato in Venezia, nel realizzare la villa a Punta San Vigilio, opera compiuta fra il 1538 e il 1542 su disegno di Michele Sanmicheli, il grande architetto veronese.
Questi firmava ogni suo atto con modestia eccessiva, ma con fraseologia schiettante veronese «Michel scarpelin», mentre non si accingeva ad alcuna impresa di rilievo senza far prima cantare una Messa.
Il Brenzone acquistò il sito il 23 novembre 1538 dal nobile veneziano Nicolò Barbaro, capitano del lago di nomina veneta dal 1516 al 1530, per 900 ducati da sei libbre e soldi 4.
Nel prezzo era compreso anche un pubblico Hospitio a commodo dei Passeggieri». Egli amò crearsi sulle rive del Garda un asilo dove potersi ritirare per momenti di studio e di riposo in compagnia di geniali amici, tra i quali Pietro Aretino e con lui Tiziano e il Sansovino, come lasciano intendere le cronache del tempo. Qui compose il Della vita solitaria.
del vivere in Villa…
Di quel «vivere in villa» abbiamo una leggiadra testimonianza in le «Dodici giornate di Silvan Cattaneo, manoscritto compilato nel 1553, ma dato alle stampe solo nel 1754 per interessamento di Domenico Polotti.
Per dirla in breve la sostanza delle «Dodici giornate» immaginate dal Cattaneo, è che alcuni amici si trovino alla fine di luglio nella casa del conte Fortunato Martinengo, e decidono di trascorrere insieme un lieto ma non dissipato periodo di riposo in gita sul Garda.
«Ragionato, e cantato fu per quel poco di tempo, che da Torri a S. Vigilio si stette, tanto che vicino a sera gli giungemmo, dove dal Dottore fummo con lieto viso accolti liberalissimamente, e dalla sua brigata; smontammo all’albergo vicino al lago, dove è l’Osteria, e per una specula bellissima, quale quasi tutto’l Benaco discuopre, entrati dunque dentro tutti nel Palagio insieme al Conte, e con il Dottore ci condusse doppoi l’averci mostrate tutte le stanze sopra una riguardevole loggia… pervenuti al fin della cena, e partiti tutti li servitori, il Signor Capoano con una lira, e Messer Federico con un liuto ambedue cantarono per una buona pezza alcune loro amorose rime…»
Baia delle sirene
E sotto il busto dell’ospite ideatore di questo asilo ecco l’invito scolpito in lettere latine: «Nel tempio venera Iddio Lascia le cure in città: manda via le donne e i lor capricci… il buon nome del luogo sia legge soprema».
E questo luogo, che sembra un dipinto rinascimentale, presenta la piccola «Baia delle Sirene», lo scoglio prospiciente il porticciolo fatto a conchiglia, la villa, la locanda, la chiesetta, lo scenario di fondo offerto dalla natura, dove la possente mole del monte Baldo, alla presenza del lago, addolcisce le sue asprezze e si ammonta di verde.
Opere d’arte
Qui un tempo c’era un Nettuno e secondo lo storico Giuseppe Trecca – il nume pagano male stava con San Vigilio nella biplana chiesetta, ultimo ricordo e avamposto delle diocesi trentina, dove un San Giovanni Nepomuceno veglia sull’acque, indicendo silenzio.
E sul porto in bassorilievo, S. Marco, auspice Vigilio, dà al Benaco l’anello d’argento, come a Venezia d’oro al mare. E Nettuno, portato dai delfini, è finito in fondo al Lago. Ecco, poi, Adamo ed Eva di Girolamo Campagnola, il giardinetto di Venere e il bassorilievo di Apollo e Dafne.
Altre sculture popolano il luogo dove il Petrarca piange con due zampilli ad irrorare un lauro. Un sacello -avverte ancora il Trecca- accoglieva l’urna di Catullo, mentre nel belvedere, pensosi, se ne stanno dodici busti di imperatori romani, trasportati non si sa come a Punta San Vigilio nel Cinquecento, durante il sacco di Roma.
Ospiti illustri
In questo piccolo eden, un chilometro quadrato di promontorio proteso sul «Benaco marino», hanno trovato ospitalità e asilo personaggi di cui il tempo ha fatto scordare i nomi.
Si ricordano, invece, i soggiorni di diverse teste coronate: Maria Luigia d’Asburgo-Lorena, moglie di Napoleone I, imperatrice dei Francesi, poi duchessa di Parma, nel 1816.
L’imperatore Alessandro di Russia nel 1822 (qui, centocinquantanni dopo, sarebbe giunta la figlia di Krusciov)
Il re di Napoli nel 1823.
Lo scienziato tedesco Otto Hahn, premio Nobel, uno dei padri dell’atomica, nel 1913 vi trascorse un paio di mesi in luna di miele, come ricorda una targa marmorea qui murata.
D’Annunzio e Alessandra Rudinì
Nessuna lapide, invece, a memoria degli incontri di D’Annunzio con la ventisettenne marchesa Alessandra di Rudinì, allora vedova da tre anni di Marcello Carlotti di Garda e madre di due figli.
In prossimità di San Vigilio, a Villa Scaveaghe, D’Annunzio e la Rudinì, che per la sua altera bellezza il Poeta ribattezzò Nike, nell’estate del 1904 trascorsero una spensierata vacanza. E proprio da questa dimora gardesana, mesi prima, Alessandra aveva scritto al suo amante: «Ho la mente, il cuore, i sensi pieni di voi. Mi avete rivelato l’amore».
Memorie viventi
Fino a pochi anni or sono erano i vecchi pescatori di Garda che raccontavano delle romantiche passeggiate dei due amanti: «Andavano in carrozza con tiro a quattro sulla strada bianca per San Vigilio. Era bella, era bionda e aveva gli occhi celesti, ma poi pagò, pagò, la poveretta! Perse i due giovani figli Andrea e Antonio, e poi si ammalò. Abbandonata da D’Annunzio, finì carmelitana scalza».
Le cronache del tempo dicono che nel 1911 la marchesa di Rudinì si ritirò nel convento francese di Paray-le-Monial col nome di suor Marie de Jésus.
Essa morì nel 1931, in fama di santità, nel Carmelo della Montagna. Qui si narra che la decisione di prendere i voti per la marchesa Alessandra sia maturata durante una visita al vicino eremo dei Camaldolesi, dove era riuscita ad entrare travestita da uomo.
Infatti nei pressi dell’ingresso del convento c’è questa scritta: «Le donne sotto pena di scomunica -latae sententiae- non possono passar più oltre».
Winston Churchill
Nel 1949 qui giunse e alloggiò Winston Churchill, pittore, che nominò il colore dell’acqua della baia ‘azzurro Madonna‘. Il famoso statista inglese approdò alla locanda di Punta San Vigilio, allora gestita da mister Leonard Walsh, con tele e tavolozza.
I cronisti del tempo favoleggiarono non tanto sulla abilità artistica del pittore Churchill nel ritrarre paesaggi gardesani, bensì sulle sue intenzioni di impadronirsi delle lettere scambiate con Mussolini.
E dopo sir Wiston, negli anni Cinquanta, ecco un’ondata di corrispondenza «rosa» da San Vigilio in occasione delle vacanze di un altro inglese, l’ambasciatore Mr. Cooper in compagnia della bellissima moglie.
Il luogo richiamò allora frotte di turisti inglesi, desiderosi di portare a casa come souvenir una foto della «porta del paradiso», dove un loro conterraneo, mister Walsh, preparava stupendi piatti di spaghetti e il mitico carpione, per gente in dimestichezza con la celebrità o con quattro quarti di nobiltà.
Egli, una sera -almeno così si racconta- venne sorprendentemente gabbato da un motoscafista sirmionese in compagnia di una bella cameriera. Si erano fatti annunciare come due famosi ballerini impegnati all’Arena di Verona.
Vivien Leigh e Laurence Olivier
Fu poi la volta della più celebre coppia del cinema di quegli anni: Vivien Leigh e Laurence Olivier, che portarono a San Vigilio una ventata di turbamenti. “Eccoli dietro quella tendina rosa. Si stanno baciando. Sono proprio loro!”
Erano i commenti di giovani che a bordo di barche doppiavano lo scoglio della Stella. «È proprio lei, quella di Via col vento».
In quegli anni a San Vigilio apparve pure André Gide, che aveva preso alloggio all’Hotel «Gardesana» della vicina Torri del Benaco.
Qui il grande poeta francese, fresco premio Nobel, scrivere sulla dolcezza del paesaggio e sulla luce che lo esaltava: «Io non avevo ancora visto una così lunga serie di bei giorni, così splendidi…».
Passaggi di proprietà
Era l’estate del 1948. «Ordino, comando e voglio che mio nipote Guglielmo Guarienti aggiunga al suo cognome quello di Brenzone. Solo
allora potrà ereditare la casa di Punta San Vigilio».
Così diceva il testamento di Agostino Vincenzo Brenzone, steso nel 1860, perché potesse perpetuarsi il nome dell’antica famiglia comitale benacense.
Oggi [1990, ndr] il padrone di Punta San Vigilio è Guglielmo Guarienti di Brenzone. Egli sposò Vittoria Calvi di Bregolo, nozze celebrate nell’aprile del 1947 ad Alessandria d’Egitto, dove la contessa Vittoria viveva con i Savoia in esilio.
Era, infatti, figlia di Jolanda di Savoia e di Giorgio Calvi di Bergolo. «Si tratta di persone assai affabili è democratiche», commenta chi ben conosce la famiglia Guarienti di Brenzone, tanto che dopo la scomparsa di mister Walsh, il conte Guglielmo e Vittoria presero a gestire loro stessi la locanda più famosa del Lago di Garda, frequentata come si è detto da una clientela internazionale.
Dopo il 1985, anno in cui morì la contessa Vittoria, alla locanda pensò il figlio Agostino, coadiuvato dalla moglie Gemma Sagramoso, splendida ragazza bionda dagli occhi verdi.
Carlo di Galles
Negli anni recenti si ebbero altri momenti di «notorietà» per Punta San Vigilio, soprattutto negli ultimi giorni di agosto del 1986 quando qui giunse il principe Carlo di Galles, erede al trono d’Inghilterra.
Ad accoglierlo c’erano ovviamente i suoi amici ospiti: il conte Agostino Guarienti con la moglie Gemma, il fratello del conte, Guariente Guarienti, il principe Enrico D’Assia, i principi del Liechtenstein e la contessa Schonberg.
Il principe Carlo occupò una stanza con vista sul lago, la n. 7, la stessa dove soggiornava Winston Churchill. Questa la prima impressione riferita ai cronisti che lo attorniavano: “È la prima volta che visito questi luoghi, ma ho sentito sempre molto parlare del Lago di Garda e di Punta San Vigilio e sono felice di essere finalmente venuto di persona a visitarli”.
Dopo quella visita era impossibile che non corressero le voci: «È vero che Carlo d’Inghilterra vorrebbe acquistare San Vigilio?». Il conte Agostino Guarienti si affrettò a dichiarare che nei tempi moderni per primo fu l’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria a proporsi per l’acquisto, seguito dagli immancabili magnati americani. Ma la dimora Guarienti di Brenzone non si tocca.
Quindi precisò che al principe di Galles non interessava l’acquisto della villa di Punta San Vigilio.
Il caso politico (all’italiana)
Poi ci fu il «gran rifiuto» da parte del consiglio comunale di Garda (in pratica si trattò di tre consiglieri di minoranza) della cittadinanza onoraria al principe Carlo.
A registrare questo «no» a Carlo d’Inghilterra, sul finire del 1986, si precipitarono in fretta i corrispondenti di non pochi giornali inglesi, americani, tedeschi.
Servizi sono apparsi sul Sunday Times, sul Daily Mirror, sul National Inquirer, senza contare quelli italiani. Uno dei «reprobi» ebbe a dire: «Sono sempre stato repubblicano, se dovevamo nominare qualcuno cittadino onorario era preferibile un premio Nobel».
re Juan Carlos di Spagna
Dal 21 al 23 aprile 1989, a Punta San Vigilio soggiornò re Juan Carlos di Spagna. Egli giunse sul Garda per provare la stupenda barca a vela «Bribon» (birbantello), costruita da Gianni Dal Ferro nel cantiere di contrada San Bernardino, a Garda.
A causa di una di quelle bufere che soltanto il Benaco sa metter su per i naviganti coraggiosi, i giornali uscirono con titoli come: «Il re nella bufera, Juan Carlos ha rischiato il naufragio».
Per lo scampato pericolo, e con il re di Spagna inzuppato fino al midollo, a San Vigilio si brindò con un calice di vino gardesano.
Punta San Vigilio ieri, oggi…
Punta San Vigilio: da un santo alla cronaca rosa, dai dispettucci politico-municipali a qualche scampolo di mondanità.
Poi dallo scoglio della Stella un tuffo regale nell’acqua «azzurro Madonna». Tutti se ne sono andati, lasciando le antiche figure di marmo in compagnia di fantasmi.
Qui il volo di un gabbiano sul lago ha suggerito a Jean Tardieu: «Sai che cos’è questo tempo che passa?/ È solo un uccello il suo riflesso / Il presente come ricordo / Ergo sum come si spera…».
2022
Villa Guarienti Brenzone deve il suo fascino a ciò che la circonda. E noi non riusciamo a trasmetterlo con le parole: bisogna andarci.
Arrivare al porticciolo, e nel silenzio, allargare lo sguardo alla vita sul lago… anatre e cigni sulle rive, vogatori in piedi su affusolate ‘canoe’ scivolano veloci sull’acqua, il suono dell’acqua sui massi, il cielo che avvolge tutto…