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Sileno Salvagnini pubblicò questo articolo nel febbraio 1990, nella rivista. Il titolo originale era ‘Il portale della chiesa agli Eremitani insidiato dallo smog.

L’occasione

Poco tempo fa è avvenuto un prodigio» sul genere di quelli che raccontano le chronicae medievali: il ripristino, nel giro di un paio di settimane, della testa di una statua che orna l’architrave del portale meridionale della chiesa degli Eremitani a Padova. Il merito spetta al parroco, don Luigi Longo, sulle cui spalle è gravato il non facile problema del restauro di questo mirabile portale quattrocentesco, in stato di avanzato degrado.

«Abbiamo portato a felice compimento l’operazione testa a fin di bene» – ha precisato padre Luigi – affidando il lavoro ad uno scalpellino settantacinquenne, il quale ha ben pensato di attaccarne una simile con la colla, saltando le pastoie burocratiche della Soprintendenza»>.

«Speravamo che quest’ultima non se ne accorgesse: invece fatalità ha voluto che durante il ‘restauro capitasse un ispettore!», ha concluso con un sorriso tra il compiaciuto e il preoccupato.

Presunte responsabilità

Quest’episodio, degno delle più gustose pagine del Mirabilia Urbis di Cederna, autorizza la domanda se qualcosa si stia muovendo sul fronte del restauro (quello autentico) del portale.

Pare che l’anno scorso uno sponsor (la Società Autostrade Brescia-Padova, presieduta da Franco Frigo, che è anche, notoriamente, Presidente della Provincia di Padova) ne abbia deciso il finanziamento. Una scelta che induce a qualche riflessione. Al di là dei mancati interventi per molti decenni, il caso del portale degli Eremitani, insomma, dice altro.

Pur essendo d’accordo col Puppi, che nella fondamentale monografia del 1970 sulla chiesa padovana, scritta in collaborazione con Sergio Bettini, indicava nei politici i principali responsabili del disinteresse per il decadimento dei monumenti, piuttosto che nei tecnici, il caos delle Soprintendenze essendo effetto di quello, parte delle responsabilità, almeno in questo caso specifico, va attribuita agli stessi storici dell’arte.

Presunte motivazioni

Quando infatti si legge che «Mentre la decorazione a fresco illustra, nella chiesa degli Eremitani, le tappe importanti della pittura ‘padovana’ tra Medioevo e Umanesimo, al contrario gli apparati plastici hanno il carattere di eventi episodici, non riconducibili ad una coerente parabola della dialettica storica», oppure che, a proposito dei rilievi del detto portale, «Anacronistico, ormai, [vi] appare il tema delle sottili fasce esterne coi riquadri dei ‘Mesi’» (da: PAOLO CARPEGGIANI, Gli Eremitani; in AA.VV., Padova. Basiliche e chiese, a cura di Claudio Bellinati e Lionello Puppi, Neri Pozza, Vicenza, 1975), nasce legittimamente più d’un sospetto.

Il sospetto, è che l’oblio in cui è sprofondata l’opera di Niccolò Baroncelli (Firenze? Ferrara, 1453) sia dipeso dal suo gusto, goticheggiante e popolaresco: il gusto toscano, notoriamente, non vincente.

Certo non si vuole qui sfornare dei giudizi di valore: poiché, in una chiesa dove la pittura vanta nomi del calibro di Guariento, Giusto, Altichiero e Mantegna, la partita sarebbe già persa in partenza.

Quantunque, peraltro, l’Arcangelo Gabriele e la Madonna Annunziata che sormontano i pilastri del portale non siano privi- riconosceva all’inizio degli anni Sessanta il Lorenzoni: il solo, forse, che si sia avvicinato all’opera del Baroncelli con spirito critico sereno e non viziato da ‘segreti’ codici di riferimento classici d’un’armonia compositiva tale da avvicinarli alle dolci figurazioni di Filippo Lippi, attivo a Padova proprio in quelli anni.

Studi accademici

Si converrà, tuttavia, che la levata di scudi per salvare i lavori del Baroncelli è stata assai tiepida. È stata Erice Rigoni, studiosa vissuta per molti anni in riserbo e pressoché dimenticata dagli studi più recenti, a scrivere le pagine filologiche fondamentali sul Baroncelli a Padova, come ha riconosciuto il Fiocco presentandone il volume sull’arte padovana rinascimentale, edito del 1970.

La quale Rigoni, in Il soggiorno in Padova di Nicolò Baroncelli (1925-26), per la prima volta ha dimostrato che l’artista toscano, fino ad allora studiato in relazione ai lavori compiuti a Ferrara per gli Estensi, si trovava senza ombra di dubbio a Padova il 27 settembre 1434.

Niccolò Baroncelli

La prima commissione padovana di rilievo di cui la Rigoni è riuscita trovar traccia risale al 1436.

Si tratta del monumento sepolcrale al celebre medico padovano Galeazzo Santa Sofia, per il quale il Baroncelli, ricordato dal contratto come ‘lapicida et pictor‘, avrebbe dovuto scolpire dieci statue in pietra di Nanto.

Purtroppo non ne è rimasta alcuna traccia. Come non è rimasto nulla di un altro monumento funerario agli Eremitani, per il quale Battista Sanguinacci ha chiesto al Baroncelli il 27 gennaio 1440 che venisse progettato “con 18 angeli, un Dio Padre, due angeli in forma d’Annunciazione ad entrambi i lati del sepolcro, una Madonna seduta col Figlio in braccio, due santi ai lati che la fiancheggiano e l’immagine del committente inginocchiato”.

Conclusione

L’unica opera che rimane, se si escludono i due tondi nella chiesa del Santo ed una terracotta policroma al Museo Civico, non del tutto sicuri per ciò che riguarda l’attribuzione, è, appunto, il portale Sud degli Eremitani, da Adolfo Venturi erroneamente attribuito a Giovanni Nani.

Nell’architrave si legge tuttora il nome della committente: «HOC OPUS DOMINA ANGNES DICTA/ALBA FIERI FECIT PRO ANIMA SUA/MCCCCXXXXII» (vale a dire, Agnese, detta Alba, fece fare quest’opera per l’anima sua 1442).

Agnese, vedova del notaio Dionisio da Montona, che aveva lasciato un legato di cinquanta ducati d’oro nel 1440 per la fabbrica dell’infermeria dei frati Eremitani, l’anno successivo cambiò il testamento incaricando «magistro Nicolao de Florentia pictore et lapicida» di eseguire il portale.

Non si sa chi abbia suggerito il tema iconografico dei Mesi – dei quali ora mancano, corrosi dallo smog e resi friabili dagli scuotimenti, gennaio e dicembre, mentre l’intero sistema decorativo è compromesso – al Baroncelli.

Forse lo scultore ripeteva un disegno trecentesco, come suggerito dal Bettini e dal Puppi. Un disegno al cui gusto, paradossalmente, è forse prossimo il ‘magister lapidum’ d’oggidì.

2022

Sarà felice il Salvagnini, oggidì, che l’area circostante la Chiesa agli Eremitani è diventata isola pedonale.

Chiesa agli Eremitani

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