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Articolo scritto da Mario Ferruccio Belli nel gennaio 1990 per il primo numero della rivista. Belli, secondo la biografia, vive e lavora a Cortina d’Ampezzo. Il che spiega perchè fu sua la penna che scrisse questo articolo…

Origine della muraglia del Cadore

Per impedire le risse tra i pastori, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria e il doge Loredan hanno imposto ai ‘Sanvitesi’ di costruire una muraglia alta sei piedi in novanta giorni. Un documento storico straordinario, oggi minacciato.

1990

Un impegno sottoscritto oltre due secoli fa dai nostri antenati? Ma lei davvero lo ritiene ancora valido per il nostro Comune? Comunque ne dovrei parlare ai colleghi della Giunta, sentire il parere del Consiglio… ovviamente se esiste ancora un accordo di quel tenore, firmato dai sanvitesi, non lo si potrà disconoscere… Ma che cosa si dovrebbe fare?

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Il Sindaco di San Vito, rag. Mario Pagan, la faccia abbronzata, una certa rassomiglianza con Alain Delon sorride. Fra i numerosi problemi che la sua non facile amministrazione deve affrontare ci si mette anche un ‘muro’, più noto come la muraglia di Giau.

Insomma una realtà storica scomoda, ignota ai più, quasi cancellata dalla coscienza collettiva per rimuovere un ostacolo psicologico alla non lontana speculazione sui verdi pascoli di quella conca.

Eppure esiste lassù, con tutti i suoi due chilometri, per scarpate, vallette da dividere in due il catino d’erba.

Ma perchè il Sindaco di San Vito si trova oggi investito di quel problema? Come è nata quella barriera? Ma poi, c’è ancora o se ne parla come di un ricordo di un tempo ormai passato? E se esiste, chi lo ha voluto? Da chi è stato costruito?

Dare una risposta a queste, ed a chissà quali altre domande, significa evocare un mondo affascinante: riportare in attualità uno di quegli argomenti tanto cari agli oratori dei convegni sulla montagna, che però non è solo atmosfera fiabesca o retaggio bucolico, bensì una realtà intrisa di sudore, tenacia e gloria…

L’unicum architettonico senza simili in tutto l’arco alpino, anzi in tutto il mondo occidentale, risale al tempo in cui sulla laguna garrivano sugli alti pennoni le vele del Doge; mentre a Vienna governava la saggia ma non placida, Maria Teresa.

Ancora più indietro nel tempo

Però l’inizio di quella vicenda risale molto più indietro. Diciamo un’estate qualsiasi attorno al Mille, quando alcuni pastori calati dal valico, che noi oggi conosciamo come forcella Giau, occuparono con il loro bestiame quella ricca prateria.

Arrivarci dai lontani paesi di San Vito, Borca, Vodo, Vinigo, era costato giorni di cammino.

Ma sospingendo il bestiame le ore non contano: ciò che interessa è che davanti vi siano sempre erba, acqua, ed un macigno per il riparo del pastore.

Con le prime gelate d’autunno anche i pascoli del Giau tornano soli. I pastori ricalcarono i sentieri delle forcelle per i loro casolari, ma con la tacita intesa di farvi ritorno l’estate seguente e poi sempre ancora.

Ma un bel giorno, chissà quando, i pastori sanvitesi trovarono al Giau altri pastori saliti da Ampezzo, di gran lunga più vicino, intenti a pascolare le loro bestie, e fu subito contesa.

Centurie e Regole – 1337

È vero che il Cadore formava una sola entità sotto la protezione del Patriarca di Aquileja, ma ciascuna Centuria, ciascuna Regola, ciascuna piccola comunità, era gelosa della propria autonomia e dei propri pascoli.

Corsero insulti, volarono botte, ci furono pignoramenti di bestiame, intervennero i capi?

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Tutto verosimile, anzi probabile. Giacchè risultano fin da quei tempi liti davanti alle autorità, cioè il marigo, ovvero il vicario, cioè il Capitano.

Le poche bracciate d’erba rubate da qualche bovino si trasformarono in questione giuridica: a chi appartenevano i pascoli?

L’inchiostro cominciò a scorrere: una prima sentenza, in aulico latino, codificò un primo abbozzo di confini fra i buoni vicini di Ampezzo e San Vito. Era il 1337.

1511 – Cortina nell’impero austriaco

Al di sopra di una certa linea: da quel pino, al sasso spezzato, dal ruscello alla forcella… il pascolo doveva essere pastura delle vacche sanvitesi, al di sotto spettava unicamente a quelle ampezzane.

Ma forse che i bovini sapevano leggere? E dove stavano sul terreno quei confini?

Magari il pino era stato tagliato, oppure una frana aveva rimosso il sasso…

Seguirono altre liti, altri ricorsi ai giudici, ancora sentenze, sopralluoghi, forse di nuovo bastonate, soprusi, sequestri.

La storia intanto avanzava. Passano i decenni anzi i secoli.

Al Patriarca di Aquileja succedeva il Doge.

Veniva il tempo della guerra; e nel 1511 Cortina si staccava dal Cadore per entrare a far parte dell’impero austriaco.

Le questioncelle di vacche e prati del Giau sfuggivano alla mano dei marighi e dei capi regola, per risalire i gradini aulici delle cancellerie veneziane e viennesi. Ma sempre carteggi erano; e noie…

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1752 – Sentenza degli arbitri

Finchè appunto nel 1752 Maria Teresa ed il Doge Loredan decisero di troncare quella contesa secolare, affidando l’incarico a degli arbitri neutrali.

La loro sentenza sarebbe stata inappellabile. Da San Vito e da Cortina non avrebbero più dovuto giungere lamentele…

Nell’estate di quell’anno gli arbitri, insediatisi a Rovereto, lontano sia da Vienna che da Venezia, compulsarono le carte, sentirono le parti, visitarono il Giau e sentenziarono.

Indubbiamente l’affare era… serio! La conca prativa era più vicina a Cortina che a San Vito; ma i sanvitesi affermavano di averla goduta per primi. Or dunque se essi, pur essendone così lontani, ne reclamavano la proprietà, che provvedessero a delimitarla. Come?

Costruendo una barriera tale da essere invalicabile agli erbivori domestici, un muro insomma.

Siccome poi la contesa era stata lunga, pervicace, noiosa, e minacciava di rinnovarsi ad ogni piè sospinto, occorreva fissare dei termini stretti, diciamo tre mesi.

90 giorni di tempo…

Pertanto il tempo di novanta giorni, durante l’estate del prossimo anno 1753 i sanvitesi avrebbero dovuto elevare una marogna alta sei piedi, larga alla base cinque piedi, ed in cima due. Che tagliasse in due i pascoli, ad impedire il passaggio del bestiame, ed inoltre avrebbero dovuto mantenerla “in perpetuo salda”

Non era un affare da poco. Sia per la lunghezza del muro, sia per quelle misure, sia soprattutto per quei tempi capestro…

Eppure i sanvitesi, coadiuvati da mano d’opera reperita nei paesi vicini, riuscirono a terminare il lavoro nei tempi prefissati.

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Compimento e costi

Quando a metà settembre la commissione roveretana giunse ad ispezionare, la muraglia era completa.

Visitato da noi sottoscritti, esecutivamente alle nostre sentenze del… li confini di San Vito con Ampezzo, fu visitata la marogna e si trovò completa per altezza, per larghezza e per estensione, in conformità alla sentenza per quanto dimostra l’esterna apparenza…

Quanto era costata quell’impresa che aveva distolto per un’intera estate tutte le forze valide dagli urgenti lavori del foraggio, quasi una sfida impossibile?

La risposta è data come sempre dalle carte. Lire 13.600 in oro. Naturalmente oro del 1753 che i lettori potranno tramutare in lirette d’oggi. Miliardi (di Lire, ma pur sempre Milioni in euro, ndr) per un muro a proteggere la buona armonia tra i vicini.

Una memoria storica

Un vero tesoro che lassù al Giau, ad oltre duemila metri di quota, da più di due secoli affronta nevi, bufere, disgelo, pioggia.

E se ne sta ben saldo, o quasi…

90 giorni di tempo…

Pertanto il tempo di novanta giorni, durante l’estate del prossimo anno 1753 i sanvitesi avrebbero dovuto elevare una marogna alta sei piedi, larga alla base cinque piedi, ed in cima due. Che tagliasse in due i pascoli, ad impedire il passaggio del bestiame, ed inoltre avrebbero dovuto mantenerla “in perpetuo salda”

Non era un affare da poco. Sia per la lunghezza del muro, sia per quelle misure, sia soprattutto per quei tempi capestro…

Eppure i sanvitesi, coadiuvati da mano d’opera reperita nei paesi vicini, riuscirono a terminare il lavoro nei tempi prefissati.

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Compimento e costi

Quando a metà settembre la commissione roveretana giunse ad ispezionare, la muraglia era completa.

Visitato da noi sottoscritti, esecutivamente alle nostre sentenze del… li confini di San Vito con Ampezzo, fu visitata la marogna e si trovò completa per altezza, per larghezza e per estensione, in conformità alla sentenza per quanto dimostra l’esterna apparenza…

Quanto era costata quell’impresa che aveva distolto per un’intera estate tutte le forze valide dagli urgenti lavori del foraggio, quasi una sfida impossibile?

La risposta è data come sempre dalle carte. Lire 13.600 in oro. Naturalmente oro del 1753 che i lettori potranno tramutare in lirette d’oggi. Miliardi (di Lire, ma pur sempre Milioni in euro, ndr) per un muro a proteggere la buona armonia tra i vicini.

I fatti più recenti

L’ultima riparazione risale agli anni dell’ante guerra [ante 1940, ndr], cioè oltre mezzo secolo fa [nel 1990, ndr].

Il Sindaco di Cortina, allertato dai suoi pastori, aveva richiamato il collega di San Vito all’antico dovere…

Magari qualche vacca poteva sgusciare dai varchi provocati dalla caduta dei sassi e potevano rinascere le liti…

In ogni caso, avevano scritto, non dimenticate l’impegno a “mantenerla in perpetuo salda”.

Da allora niente più. È vero che la stagione degli alpeggi è mutata. Sulle praterie del Giau brucano sparute vacche di San Vito, e al di qua di quel muro ve ne sono ancora meno d’Ampezzo…

Il problema degli sconfinamenti vaccini non si pone dunque. Ma la muraglia è soltanto questo?

Un capolavoro di ingegneria artigianale di duecentoquaranta anni or sono non è forse una fetta insostituibile di storia irrinunciabile? Gli studiosi lo sanno e giustamente si pongono il problema. Perchè trascurare una simile ricchezza , anche iconografica, che potrebbe -dovrebbe- diventare attrattiva turistica?

Muraglia del Cadore

I Cippi

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Quando il lavoro della muraglia fu concluso, attorno alla metà del settembre 1753, sia gli ampezzani che i cadorini di San Vito, sia gli arbitri neutrali, trovarono che un lavoro così importante doveva essere arricchito di adeguati simboli.

Alle estremità dell’opera furono perciò collocati gli armi dei rispettivi governi: due lapidi con il sorridente leone di San Marco sul versante sanvitese; due altre lapidi di candido marmo con lo scudo degli Asburgo su quello di Cortina, e le croci con il millesimo al centro e la data a futura perenne memoria.

Blocchi pesantissimi di pietra scolpiti chissà dove, portati fin lassù alla base delle rocce a schiena d’uomo.

I fregi della base del Nuvolau, riscoperti si può dire di recente dopo la pubblicazione di un libro su Cortina (Edizioni Dolomiti) sono da allora visitati dai turisti.

L’anziana nobildonna…

Persino un’anziana nobildonna veneziana volle vederli. Si presentò alle Guide di Cortina per avere un accompagnatore. Partirono all’alba, il luogo non è lontanissimo, ma gli anni della cliente lo richiedevano.

Il suo zaino era stranamente pesante. Scoperse il segreto, la guida, quando giunti davanti alle bellissime lapidi, la gentildonna fece trarre dal sacco la bottiglia di champagne francese per brindare al leone di Venezia.

Il Doge Loredan che reggeva Venezia quando venne portato quassù questo scudo era mio antenato, spiegò…

Ed i ladri di ogni epoca

Una storia meno allegra è quella delle due lapidi che ornavano il roccione, detto Becco della Muraglia, e che mani rapaci fecero sparire sempre sull’interesse destato da quel libro.

Per buona sorte l’allora Sindaco di Cortina Menardi spedì lassù operai con calce e cazzuola a bloccare alla roccia i quattro fregi rimasti.

Ma lungo la muraglia vi sono poi altri cippi, con date, croci, numeri. Tutti da scoprire prima che qualche folle maniaco dei souvenir storici non ci faccia un pensiero.

Ancora una domanda al Sindaco di San Vito:

non sono stati forse i suoi lontani progenitori a costruirla?

“Sinora non ci avevamo pensato… Effettivamente mi consta che al pastore della malga del Giau, che si trova indubbiamente sul nostro territorio, si rivolgevano spesso dei curiosi per avere qualche indicazione sulla muraglia. Forse sarà il caso che vi facciamo mettere dei cartelli per segnarla opportunamente… Quanto a recuperarla, capisco sono passati tanti anni, si d’accordo, si potrebbe rimuovere la vegetazione, ricollocare qualche sasso caduto, ripulire il sentiero per agevolarne l’accesso ai turisti… È una curiosità storica, non c’è dubbio… Ma davvero ritiene che a noi spetti in perpetuo di mantenerla in buon ordine?”

Si strizzano l’occhio nella tomba il Doge Francesco Loredan e Maria Teresa d’Austria: la muraglia uscita dai legulei di Rovereto e che solo cocciuti montanari potevano costruire, forse è salva.

2022

Ad oltre trent’anni di distanza, non è cambiato molto il pensiero di certi ‘intellettuali’ che amano definirsi ‘studiosi’: la cultura e la conoscenza di questi, contro la bassezza e l’avidità delle ‘persone comuni’. Comunisti in cashmere.

“speculazione sui verdi pascoli” è una fantasia poetica tipica di quella categoria di persone. Non ci risulta che ad oggi, i pascoli del Giau siano stati cementificati o lottizzati.

Quanto al “capolavoro di ingegneria artigianale… fetta insostituibile di storia irrinunciabile? Gli studiosi lo sanno…”, siamo… perplessi. Allora bisognava conservare il muro di Berlino per i posteri? Perchè criticare il muro tra Stati Uniti e Messico? O quello tra Polonia e Bielorussia?

Quando un muro sopravvive ai suoi costruttori, è sacro. Durante la vita di costruttori e oppositori, è un segno d’inciviltà.

Un muro è un muro. Divide. Si fa. Dura. Scompare. Ma a parte ciò, oggi, questi sedicenti studiosi vorrebbero conservare e vincolare tutto quel che vedono, e che abbia più di vent’anni.

È la filosofia che ingessa l’Italia. Alcuni edifici, costruzioni, sono indubbiamente patrimonio dell’umanità, come una Villa Veneta ad esempio. Ma un muro alto un metro e mezzo?… sul Giau?… Cos’è? Il Vallo di Adriano?

Rappresenta solo una lite tra pastori, in mezzo al nulla. Ma certi benpensanti vorrebbero che anche questo mucchietto di sassi fosse mantenuto a spese di tutti, di chi scrive e di chi legge.

Benpensanti che probabilmente non hanno mai lavorato in vita propria.

Molte costruzioni umane sono portate via dal tempo. Non si può conservare tutto, per sempre. ‘Polvere alla polvere’ non vale solo per la carne.

Per il resto, bello l’articolo, che fa conoscere una curiosità del nostro territorio.

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