Ha bisogno di restauri il teatro estense di Ruzante
Articolo sull’Arco del Falconetto, scritto da Sileno Salvagnini per il primo numero della rivista Veneto Ieri Oggi Domani. Inserito nella categoria ‘Veneto da salvare’. Nato a Este, ordinario all’Accademia di Belle Arti di Venezia.
Riconoscimenti
Ritornato parzialmente nell’obblio dopo l’interesse che fra gli anni Sessanta e Settanta studiosi come il Fiocco, il Menegazzo e l’Alvarez Bresciani gli avevano dedicato, e dopo la risposta del gruppo di appassionati che nel 1986 ha dato vita ad un Comitato per la sua salvaguardia. l’Arco trionfale edificato in quel di Este da Antonio Maria Falconetto (1468-1534) all’inizio del secolo Decimosesto, aspetta malinconicamente nuovi atti d’amore che ne arrestino la lenta ma inesorabile agonia.
Si tratta di un’opera poco conosciuta ma di grandissima importanza culturale, tanto da far pronunciare l’anno scorso [1989, ndr] a Federico Zeri queste parole:
“Mi sembra un monumento assai importante per la storia dell’interesse rinascimentale verso l’archeologia romana, in quanto combina elementi dell’Arco di Tito a Roma (com’era visto allora) con quelli di un altro monumento romano ignorato nel Rinascimento, il cosiddetto Arco di Giano Quadrifronte al Velabro. È da augurarsi possa esser salvato, poichè presenta caratteristiche assai inconsuete…”.
Falconetto e l’Arco
La storia dell’Arco estense inizia col sodalizio fra l’architetto veronese, Alvise Cornaro ed Angelo Beolco detto ‘Ruzante‘.
Il Menegazzo ha riportato alla luce nel 1964 un documento (la stipula di un contratto datato 2 novembre 1525). In esso si parla di un incontro avvenuto a Este fra il grande umanista veneziano ed il drammaturgo di Padova, “in burgo Calisvici”, nella casa dei nobili Cornaro, posta “super montem”.
Non si può affermare con esattezza se a quella data l’Arco fosse stato realizzato dal Falconetto. Mentre è certo il terminus a quo del 1566, allorché un disegno del Lonigo lo pone bene in vista.
Se la sua somiglianza con l’arco centrale del primo ordine della Loggia Cornaro di Padova, specie con le Vittorie alate che ne ornano l’archivolto, è fuori discussione, più complessa risulta la datazione.
Per il Menegazzo difficilmente esso potè venir realizzato prima del 1525.
Il Bresciani Alvarez invece (1980), integrando dati d’archivio con valutazioni stilistiche, lo attribuisce circa al 1521 o ad un periodo immediatamente successivo al viaggio compiuto a Roma da Cornaro e Falconetto. Viaggio avvenuto verosimilmente prima del 1524, anno di costruzione della Loggia di Padova.
Se si analizzano infatti gli stilemi dell’Arco estense, la fonte iconografica maggiore cui deve aver attinto l’architetto (sotto la guida del Cornaro: non si dimentichi che a quell’epoca il committente era, se non l’ideatore esclusivo, di certo l’ispiratore principale dell’architettura) è il già ricordato Arco di Giano Quadrifronte, del quale Falconetto aveva fornito una reinterpretazione pittorica in Palazzo d’Arco a Mantova.
Ipotesi sull’uso dell’Arco
Se vi è sostanziale concordanza sul periodo di costruzione, permangono invece numerose zone d’ombra sulla destinazione d’uso dell’Arco di Este.
È verosimile che, a fronte di un più generale recupero dell’antico, esso fungesse da frons scenae (Bresciani Alvarez) di un Teatro all’aperto: primo passo, forse, verso quel “teatro all’antica di pietra perpetuo”, per dirla con Cornaro, di cui la Loggia di Padova costituirà il degno sviluppo.
L’ipotesi sostenuta a suo tempo dal Fiocco (1965), troverebbe conferma in una testimonianza non sospetta dei primi del Novecento. Quando l’archologo Alfonsi riferì di aver trovato, non lontano dall’Arco estense, “una massiccia costruzione di muri e una grande piattaforma rettangolare con un risalto a guisa di scalini e uno più interno semicircolare. Formata con pietre trachitiche fortemente cementate, poggianti su un ammantellato di ciottoli”; reperto che presentava a suo dire tutte le caratteristiche “di una costruzione veneziana (per cui) poteva essere una di quelle prospettiva architettoniche che ornavano i giardini”.
Purtroppo l’Alfonsi, che stava compiendo scavi sui paleoveneti, non ritenne utile approfondire le indagini e procedette a demolire tale costruzione.
Ed altre ipotesi
È più che probabile che Cornaro e amici, al termine delle battute di caccia nel podere estense, allestissero qualche rappresentazione teatrale.
Non va scordato infatti che per gli umanisti di quell’epoca rifare il teatro secondo i dettami di Vitruvio non significava recuperare romanticamente l’antichità ma ricercare il gusto degli antichi. Costruire un’unità aristotelica di tempo e spazio che riflettesse la razionalità della “natura” e, in particolare, del microcosmo umano.
Nel 1990
Purtroppo i tempi sono mutati, per cui oggi si assiste alla dissipazione progressiva delle Nokai e delle nicchie di questo insigne monumento, edificato in delicata pietra di Nanto.
La Costituzione del Comitato per la sua difesa ha favorito la raccolta fra la cittadinanza estense di una modesta somma che almeno ha permesso di improvvisare una parziale difesa dagli agenti atmosferici, previa autorizzazione della competente Sopraintendenza.
È auspicabile che ora vengano reperite le poche decine di milioni [di Lire, ndr] necessari per il suo definitivo restauro: che potrebbero essere procurate sia dall’Amministrazione comunale, fin qui poco sollecitata ad intervenire in prima persona, sia da qualche mecenate non insensibile al fascino della memoria perduta.
2022
Da una sommaria ricerca in rete, risulta che un primo intervento di recupero fu eseguito 5 anni dopo l’articolo di Salvagnini, nel 1995.
Un intervento più recente, molti anni più tardi, risale al 2019. L’importo stanziato sarebbe stato di 25.000 € (i 50 milioni di Lire, del 1990).