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Lo storico Camillo Corrain, mancato nel 2017, scrisse questo articolo per la rivista, nel febbraio del 1990, nella serie di articoli ‘Veneto della Storia’. Allo storico è anche dedicato il museo etnografico di Stanghella.

Memoria e Misteri

La favola mondana racconta che ogni volta la regina Vittoria scendeva nel nostro paese, inviava corone di fiori sulle tombe degli antenati che avevano scelto come ultima loro dimora corporea la chiesa abbaziale di S. Maria della Vangadizza a Badia Polesine.

A cominciare dall’arca del capostipite di Casa d’Este, Alberto Azzo II, morto ultracentenario. Una tomba che sarebbe stata individuata secoli or sono, in seguito a lavori di restauro, almeno secondo la notizia trasmessa da un registro, da definirsi meglio un diario aggiornato del monastero, intitolato ‘Memorie che servono alla storia della insigne Abbazia della Vangadizza’.

Il guaio è che la riscoperta dell’arca marmorea attribuita ad Azzo II, rimane tuttora insicura, essendo la descrizione del tempo ammantata dal mito, per cui è lecito sospettare che la sepoltura vera di questo leggendario marchese si trovi ancora dispersa sotto i ruderi della basilica o dispersa in qualche angolo del complesso abbaziale.

arche abbazia Vangadizza

La versione del frate

L’amanuense settecentesco del suaccennato diario, nel riferire il fatto della scoperta, sbaglia persino il nome dell’Estense, confondendolo con uno alquanto postumo in ordine genealogico.

Vale la pena di riportare il brano, per offrire al lettore di assaporare lo stile e il criterio storico posseduti da un semplice frate del ‘700:

“Nell’anno 1334 -sotto lo stesso abate Severo si aperse uno dé sepolcri di marmo ch’erano nella chiesa abbaziale, ed ora situati si veggono dai lati della porta maggiore di essa al di fuori, nel
qual ritrovaronsi due teste, ed ossa di due persone, coperte di un drappo d’oro, maschio e femmina, si rilevò da alcuni versi latini intagliati in pietra cotta pur là dentro rinchiusa, ch’erano i corpi di Conegonda figlia di Guelfo IV – duca di Baviera sepoltavi l’anno 1057, e di Alfonso IV – marchese d’Este suo marito, di cui non si esprime l’anno del suo deposito. Questi versi stanno
trasferitti nel lib.V. cittato delle Memorie a cart. 4.”

arche abbazia Vangadizza

e quella dello storico

Volendo indulgere alle fantasticherie in voga sino a ieri sull’identificazione della tomba in questione, vale la pena di riportare pure quanto scritto dall’attento storico atestino, Isidoro Alessi nel suo lavoro ‘Ricerche istorico-critiche delle antichità di Este, ecc.’, edito a Padova nel 1776, a p. 439:

“L’anno 1334 – per ristaurar quella chiesa, si dovette aprir l’arca, e rimuoverla del suo sito. Vi si trovaron l’ossa di due persone oppostamente collocate; e coperte, per quanto potè comprendersi, di un drappo tessuto d’oro. Sotto il cranio d’una di esse era una lastra di terra cotta; in cui era inciso un epitafio di vari versi, che la manifestavano per cunegonda…”

Precedentemente, la scoperta aveva interessato Bronziero (a. 1628), il Muratori (a. 1641), e più tardi il Giuriati, il Campagnella, gli Annali Camaldolesi ed il Gennari (a. 1804).

Rimane però stupefacente come tutti questi studiosi, che dovrebbero avere attinte più o meno direttamente da un originale registro delle memorie del tempo dell’abate Severo Senesi, nel quale era narrata l’apertura dell’arca, con la trascrizione dell’introvabile piastra di terracotta, abbiano riportato lo scritto ivi inciso con diverse discordanze.

Le varianti riguardano non solo la ripartizione epigrafica, ma anche parti del contesto. Attenendosi alla trascrizione riportata dal Baruffaldi, che si rifà al manoscritto del Campagnella, esistente presso l’Accademia dei Concordi di Rovigo, il quale avrebbe ricopiato dall’originale delle anzidette memorie, la scrittura incisa dice:

«Vinta Cunegonda ha avuto lo splendore della corona regale. Non c’è stato nessuno più nobile nel mondo. Sono nata tedesca dal seme del grande Welfonte, imperatore, questo fu il titolo. Il mio uomo fu egregio e il popolo ricco più di quanti esistono in Italia. Mio marito Azzo saggio grande marchese risplende che credo conservi memoria di me. Durante la vita Dio concesse a noi un figlio che fu detto Welfonte e fu condottiero potente e pio. È peccato violare questo avello, non mi allontanerò di qui finché non risorgerò nella vera carne.”

arche abbazia Vangadizza

Dinastia nel Medioevo

La scritta riguarda quindi la famosa moglie Cunegonda, detta altrimenti Cuniza, o Cunza, figlia del conte Guelfo di Altorf, signore di Ravensbug, nella Carinzia.

Da Cunegonda Azzo II ebbe il figlio Guelfo, che successe allo zio materno nella contea austriaca, e sarebbe capostipite della Casa di Brunswick e Wolfembuttel e dell’Elettorato di Hannover, dinastia ora regnante in Inghilterra.

Dalla seconda moglie, Garsenda, figlia del conte Ugo del Maine (Le Mans in Francia), il più longevo degli Estensi ebbe due figli, Ugo e Folco.

Inutilmente Azzo cercò d’inserire il primo nella contea francese, sfruttando le occasioni propizie, ma non tutti i figli ereditano le doti o i difetti del padre, e di Ugo si può dire che non avesse affatto la stoffa per governare, mentre attraverso Folco si originò la Casa d’Este.

Riconducendo ora il discorso alla tomba, dando per scontato che il secondo scheletro, o quel che ne rimaneva, fosse proprio di Azzo II, è ancora da stabilire se l’arca identificata nel 1334, sia tra i sarcofaghi a orecchioni ancora osservabili all’entrata della chiesa oppure nel chiostro.

Già il nostro amanuense del diario del monastero aveva indicato la sepoltura di Azzo II in una delle due arche. Il Baruffaldi la ritrova invece nella cappella, unico resto della basilica, salvatosi dalla distruzione imputabile alla grettezza e alla stupida avidità dell’uomo, per recuperare materiale da costruzione.

Lo stesso Baruffaldi era dell’opinione che il sarcofago di Azzo e Cunegonda fosse quello senza alcuna scultura e incisione, mentre l’altro, che reputava più recente, con i simboli scolpiti di un cerchio ad intreccio tra due croci bizantine, lo individuava quale sepoltura di un altro grande Estense, Azzo VI, il cui corpo fu trasportato alla Vangadizza da Verona, subito dopo la morte, nel novembre del 1212.

arche abbazia Vangadizza

Dispute tra storici

Le memorie della Vangadizza sull’attribuzione di una tomba a questo Estense sono questa volta mute, ma ne parlano il Pigna, il Bronziero, il Muratori, l’Alessi, il Sardi, tutti rifacendosi allo Scardeone.

Egli, storico padovano del secolo XVII, nelle sue ricerche presso il monastero vangadiciense, avrebbe rinvenuto l’elogio inciso su una lastra di marmo che doveva indicare l’arca di questo Azzo.

La sepoltura, stando allo Scardeone, (per inciso, è doveroso aggiungere che il Baruffaldi dubitava dell’autenticità dell’epitaffio di Azzo VI, scoperto dallo Scardeone, ritenendolo troppo elaborato e classico per essere stato composto nel ‘200) sarebbe stata riutilizzata come fonte battesimale nella chiesa parrocchiale di Badia.

Il Bronziero a sua volta precisa che le ossa del marchese sarebbero state trasportate a Ferrara, mentre l’arca, come detto dal precedente studioso, si trovava a fungere da fonte battesimale.

Poi aggiunge che, al suo tempo, questa presunta arca marmorea di Azzo VI avrebbe preso un’altra strada: la cassa sarebbe finita in una corte rurale di Salvaterra, proprietà dello zio Marcantonio, mentre il coperchio, con la raffigurazione scolpita di una croce affiancata da due pavoni, sarebbe stata usata, sempre come fonte battesimale, nella chiesa parrocchiale di Borsea, allora nella giurisdizione vangadiciense, presso Rovigo.

Il vagabondare delle arche

Su una faccia della cassa della corte di Salvaterra, erano rilevati vari simboli e scritte di carattere non religioso: una ruota nel mezzo, due cimieri con ornamentazione a testa d’aquila, ai lati, un nastro disposto verticalmente, quasi tenesse in sospensione la ruota, con incisa la misteriosa scritta Worbas, mentre lungo il bordo superiore erano intervallate le lettere determinanti la sigla NL. AL.

A suscitare il vespaio della critica storica sulle fantasiose interpretazioni dei simboli, delle scritte e della funzione dello stesso manufatto, contribuì con accanimento il Baruffaldi, studioso serio e caparbio delle antichità di Badia, e in particolar modo del cenobio vangadiciense.

Egli dimostrò con argomentazioni documentarie che l’asserita tomba di Azzo VI, della quale era rimasta la sola facciata, non sarebbe stata altro che la vasca di una pubblica fontana, risalente al sec. XV, assegnazione avallata dal paleografo Vittorio Lazzarini dell’Università di Padova.

Il cimelio, dopo una sosta nell’atrio del palazzo Picinali di Badia, fu trasportato nel 1927, con il permesso della Soprintendenza ai Monumenti, a Ferrara, per essere murato nella Torre della Vittoria, dove tuttora può essere osservato.

I due sarcofaghi che si vedono ora ai lati dell’entrata murata dei ruderi basilicali della Vangadizza, mostruosamente rialzati su un basamento colonnare, non avevano anch’essi mai avuto requie, con spostamenti frequenti fuori e dentro l’edificio: il Bronziero e il nostro amanuense asseriscono che si trovavano all’esterno, mentre il Baruffaldi li colloca nell’unica cappella rimasta in piedi.

arche abbazia Vangadizza

Conclusioni plausibili

Oltre agli Azzi I e VI, ebbe sepoltura nel monastero anche un altro Estense, un certo Alberto, figlio di Folco I, morto nel 1184, ma non si sa indicarne la sepoltura.

Rimane ancora il dubbio, quindi, di chi fossero le ossa, ritenute di Azzo V, trasportate a Ferrara. Concludendo, è lecito affermare che le ceneri degli Honnever non hanno mai avuto pace.

Nonostante questi retroscena piuttosto inquietanti la favola che le arche imponenti della Vangadizza contengano i resti mortali di Azzo II e Conegonda, fondatori della Casa d’Este, e del figlio Guelfo, capostipite dell’Elettorato di Honnever, da cui discendono i reali inglesi, continua a trovare sempre nuovi sostenitori.

E tutti sono concordi nel ritenere valido il racconto della tradizione antica. Anzi puntualmente riferiscono, senza dubbi o perplessità, delle corone di fiori inviate dalla Regina Vittoria ogni volta scendeva nel nostro paese.

2023

Non siamo storici, e ci limitiamo ad un parere sul luogo: infonde senso di pace. Merita una visita anche solo per questo.

Nel frattempo proseguono gli studi…

Abbazia Vangadizza

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