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Gianfranco Scarparo scrisse questo articolo per la rivista, nel febbraio del 1990, nella serie di articoli ‘Veneto che Scompare’.

Le Fornaci lungo i fiumi

Il Po, nel suo lungo percorso attraverso la pianura padana, incrementa, per l’apporto degli affluenti, la sua portata e rallenta progressivamente la velocità dell’acqua per la diminuzione di pendenza del suo alveo.

Come accade per tutti i fiumi, deposita sul fondo dapprima i materiali più voluminosi (ciottoli, ghiaia) e successivamente i più sottili (sabbia, argilla). Nei tratti terminali, dove il tracciato diventa sinuoso e le acque quasi ristagnano nelle anse e nelle golene, si formano lentamente strati più o meno spessi di materiale minutissimo.

In tempi recenti la rettifica di molte curve e l’eliminazione delle golene, condotte all’insegna di una dilagante «cementificazione» delle arginature, hanno determinato una riduzione di questo fenomeno sul quale l’ingegnosità dell’uomo aveva basato un metodo secolare per ricavare la materia prima destinata a produrre laterizi da costruzione e terracotta per uso domestico.

Attraverso un varco, ricavato sulle piccole arginature che separano la golena dal corso del fiume, l’acqua, nei periodi di piena, torbida e ricca di argilla in sospensione, entrava nei vasti bacini golenali rallentando progressivamente e depositando il limo più sottile. Dopo un giro lungo e ozioso, attraverso un’altra apertura sull’argine, veniva ricondotta nel fiume.

Il materiale regalato dal fiume

Durante i mesi di magra la golena si riduceva all’asciutto ed iniziava l’operazione di scavo dell’argilla. Vi provvedevano decine di operai, con badili e carriole, che trasbordavano il materiale su carretti tirati da cavalli e muli, dai quali veniva successivamente ammmassato in grandi cumuli prossimi della fornace.

L’argilla raccolta non era impiegata immediatamente nella produzione. Veniva sottoposta a due processi di stagionatura: quello invernale durante il quale il gelo provvedeva a frantumarla e sgretolarla, e quello estivo che favoriva la eliminazione delle parti organiche mescolate ad essa.

La qualità della materia prima impiegata e la lunga manutenzione che essa subiva prima della confezione del prodotto finito, rendevano i laterizi provenienti dalle fornaci del basso Po particolarmente ricercati.

La collocazione degli impianti sulle rive del fiume consentiva il facile imbarco su natanti e il conseguente trasporto in luoghi inaccessibili per via terra -come Venezia e le aree lagunari- a costi relativamente modesti.

Ne derivò un moltiplicarsi di iniziative che andarono arroccandosi a ridosso delle golene più produttive incidendo, con la loro presenza, sull’ambiente e sul paesaggio.

Nel panorama piatto ed uniforme del Delta le altissime e snelle ciminiere in cotto delle fornaci, insieme con i rari campanili e qualche isolato boschetto di pioppi, rappresentavano le uniche aspirazioni alla verticalità (oggi purtroppo affidata agli squallidi tralicci dell’Enel [ed alle antenne telefoniche comparse successivamente al 1990, ndr]).

Montacarichi Fornace Villanova Marchesana

Operai delle Fornaci

I primi imprenditori, di estrazione agricola, integravano la loro attività primaria con quella di fornaciai.

Ma anche la manodopera proveniva dall’agricoltura e di riflesso si creò un alleggerimento della disoccupazione tipica di certe zone.

Intere famiglie, nel periodo di attività delle fornaci, che andava dall’inizio della primavera ad autunno inoltrato, vi trovavano lavoro.

Agli uomini spettavano i compiti più faticosi -il trasporto del materiale, il carico e lo scarico dei forni- mentre le donne e i ragazzi erano addetti alla confezione a mano, entro apposite forme, dei diversi prodotti, manipolando l’argilla inumidita.

I laterizi da essiccare venivano quindi disposti in lunghe file all’aperto, protetti con arelle dai raggi diretti del sole e, superiormente, dalla pioggia con due file di tegole.

Il forno Hoffman nelle Fornaci

L’introduzione del forno Hoffmann, in luogo dei primitivi forni intermittenti, portò un indubbio progresso nella quantità e qualità del prodotto.

Si trattava di una serie di camere disposte ad andamento circolare, o rettangolare, con raccordi a semicerchio, nelle quali avveniva da un lato il carico del materiale secco da cuocere, da quello opposto lo scarico del materiale cotto.

Superiormente il fuoco veniva alimentato mediante bocchette che si spostavano progressivamente sopra le camere. I fuochisti, che si turnavano in tre nelle ventiquattro ore, avevano il compito più delicato e costituivano una sorta di élite tra gli altri operai che li trattavano con il «voi», guardandoli con rispetto e soggezione quando, neri per la polvere di carbone, che sembrava costituisse per loro una seconda pelle, salivano lentamente la scaletta per raggiungere il posto di lavoro.

Dall’abilità del fuochista, dal suo indovinare, osservando attraverso una bocchetta la catasta incandescente per stabilirne il grado di cottura, dipendeva il risultato di una intera partita di materiale.

Struttura delle Fornaci

Le fornaci, pur variando tra loro per dimensioni e capacità produttiva, dovevano, strutturalmente, rispondere a certe norme.

Le misure dei forni, l’ampiezza dei passaggi e dei porticati, lo sviluppo dei piazzali per la lavorazione, le dimensioni degli essicatoi, la stessa altezza delle ciminiere erano soggetti ad una serie di costanti da rispettare.

Come accade spesso nell’edilizia spontanea, quando le regole imposte dalla tradizione danno luogo al consolidarsi di una tipologia, talvolta apprezzabile per i suoi risvolti estetici, nel caso delle fornaci il tramandarsi dei canoni empirici che le regolavano favorì il diffondersi di una serie di modelli, anche nettamente differenziati tra loro, ma sempre riconducibili allo stesso schema tipologico.

Negli stabilimenti più grandi il forno appariva conglobato e dissimulato entro un grande impianto volumetrico a base rettangolare a più piani che ospitava superiormente gli essicatoi per il materiale leggero.

In quelle fornaci infatti, oltre i mattoni si producevano tegole, tavelle, elementi per solai, talvolta persino vasi da fiori o pezzi ornamentali.

Le fornaci più piccole, ad un piano, comprendevano invece, nel corpo di fabbrica, il solo forno talvolta circondato tutt’intorno da una tettoia per consentire il movimento nei giorni piovosi. In tutti i casi le murature apparivano sempre a faccia vista, cioè priva di intonaco: una forma ingenua per pubblicizzare verso l’esterno il prodotto.

Essiccatoi Fornace Villanova Marchesana

Declino delle Fornaci

Il rapido declino per le fornaci del Po iniziò intorno agli anni sessanta.

In parte vi contribuì l’avvento di nuovi mezzi di cottura che soppiantarono i vecchi benemeriti forni Hoffmann, ma risultò determinante la guerra spietata alle golene aggredite dalle ruspe per ricavare la terra utilizzata nei lavori alle arginature.

Molti impianti furono demoliti e qualche superstite ciminiera isolata ne ricorda la presenza.

Gli altri attendono ancora, rassegnati, il compimento del loro destino.

In mezzo alle golene invase dagli acquitrini, sui quali a stento si rintraccia la forma degli antichi bacini di decantazione, tra sterpi, pioppi sradicati, chiuse e ponticelli inservibili, le formaci, alla distanza, danno ancora l’illusione di essere intatte.

Avvicinandosi quasi ci si aspetta di ritrovare sui piazzali e all’imboccatura dei forni il movimento febbrile degli operai, di scorgere le cataste rosate e ancora tiepide dei mattoni appena sfornati, di intravedere in lontananza il profilarsi dei carrelli che trasportano le lucide zolle di argilla.

Ma non appena si supera lo sgangherato cancello ci si imbatte in un quadro di desolazione e disfacimento: i fori privi di imposte sembrano occhiaie vuote, non un filo di fumo esce dalla ciminiera, le erbacce si sono
impadronite di camminamenti e porticati.

Considerazioni anni ’90

Di fronte a un tale sfacelo viene da chiedersi se fosse opportuna questa rinuncia all’impiego di una materia prima pregiata che il fiume metteva a disposizione ricostituendone di anno in anno la riserva.

L’avviato recupero edilizio di centri storici maggiori e minori avrebbero probabilmente riportato di attualità la richiesta di prodotti laterizi di alta qualità, soprattutto se confezionati a mano come avveniva in tempi non lontanissimi nelle fornaci del Po.

Ma talvolta accade inesorabilmente che il progresso tecnologico si sviluppi cancellando grossolanamente le conquiste del passato.

Fornaci come Archeologia Industriale

Le ricerche archeologiche nei territori del Delta rivelano un’antica attività locale nella lavorazione della terracotta.

Accanto ai materiali di importazione il Museo Nazionale di Adria espone reperti prodotti da quella popolazione indigena che qualcuno definì suggestivamente degli «etruschi adriati».

Ripercorrendo istintivamente questo itinerario storico un anziano artigiano si reca ancor oggi nelle deserte golene del Po per approvvigionarsi del prezioso limo che il fiume continua a depositare.

In una fornace in miniatura, ricavata nell’adiacenza di casa, si diletta a plasmare e cuocere modelli di forme antiche.

In tempi senza memoria, come il nostro, il passatempo di un isolato sognatore può assumere il sapore di un’umile silenziosa lezione, piena di significato.

2022

Ci sembra che la nostalgia di molti giornalisti sia sempre rivolta a ciò che il progresso si porta via.

‘Logico’, affermerà qualcuno. Ma ci chiediamo se, al momento dell’edificazione di una fornace in una golena, lo stesso giornalista non avrebbe gridato allo scempio. Mentre, 80 anni dopo, quando la fornace scompare, piange di romantica nostalgia.

Una fornace ‘Hoffmann’ oggi, avrebbe costi proibitivi in termini di normative sulla sicurezza di edificio, impianti, e dei lavoratori. Chi potrebbe costruirsi una casa pagando 20 € la fornitura e posa di un singolo mattone?

Quell’economia si basava sul basso costo della manodopera dell’epoca.

Tuttavia, è innegabile che vedere vecchi ed imponenti edifici, testimoni di molte vite, di lavoro, di un passato tangibile, in stato di totale abbandono… metta tristezza. Al di là di ogni altra considerazione.

L’articolo era basato su una visita all’ex fornace di Villanova Marchesana, Rovigo, e le foto mostrano che nel 1990 il complesso era ancora riconoscibile.

Il satellite di google maps ci offre il ‘degrado cronologico’…

Fornace Villanova Marchesana

Fornace Morandi Padova

Fornace Noventa Padovana

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